SIGNORE, PUÒ FINGERSI IL MIO FIDANZATO PER UN MINUTO? LEI NON SA CHE LUI È UN MILIONARIO
Signore Pu fingersi il mio fidanzato per un minuto. Lei non sa che lui è un milionario. Le mani di Giulia tremavano mentre versava la ricotta nelle cialdue dorate. Un cannolo cadde sul bancone di marmo, rompendosi in due pezzi perfetti come il suo cuore tre mesi fa. “Basta, concentrati sui dolci”.
Spolverò i biscotti all’amaretto con zucchero a velo, il gesto automatico che aveva imparato a 5 anni guardando nonna Francesca. Il mercato di Santo Spirito si svegliava con i suoi rumori familiari. Nonna Carmen che sistemava i pomodori San Marzano, don Roberto che apriva i sacchi di origano siciliano, il profumo di pane fresco dalla panetteria di nonna Elena. Meglio così, meglio perdersi nel lavoro che pensare a lui. Giulia riempì il secondo vassoio di cannoli quando una voce la gelò.
Alessandro, le gambe non rispondevano. La voce arrivava da dietro la bancarella dei fiori di Marco, troppo vicina, troppo familiare. Eccolo che emerge tra i turisti giapponesi con la macchina fotografica al collo, camicia bianca stirata, jeans scuri, quel sorriso storto che una volta la faceva sciogliere e ora la faceva rabbrividire.
Al suo braccio una biondina in vestito attillato che ridacchiava guardando tutto, come se il mercato fosse un museo all’aperto. Madonna santa, l’ha portata qui. Giulia abbassò la testa fingendo di essere assorta nell’arrangiare i biscotti a forma di cuore. Forse non l’aveva vista, forse passerebbero oltre, diretti verso i banchi del porcellino.
Magari volava anche. Alessandro, infatti, camminava dritto verso di lei con quella sicurezza che ai tempi dell’università le sembrava affascinante. Ora sapeva che era solo arroganza malvestita da Charm. Mio Dio, sta venendo qui. Nonna Carmen alzò gli occhi dal banco delle verdure biologiche, il viso segnato dalle rughe di chi aveva visto passare 70 anni di mercato. I suoi piccoli occhi scuri si fecero duri come olive nere.

Quello stronzo è tornato”, sussurrò tra i denti, “ma abbastanza forte perché Giulia sentisse.” Alessandro si fermò davanti alla bancarella, la biondina attaccata al braccio come una seconda pelle. Troppo trucco, troppi gioielli, troppo tutto.
Il tipo di donna che comprava i biscotti industriali al supermercato e li spacciava per fatti in casa. “Ciao Giulia”, disse Alessandro con voce melliflua. “Come stai tesoro?” La parola tesoro le esplose nelle orecchie come un petardo di San Giovanni. Tesoro come se niente fosse successo, come se non l’avesse tempestata di telefonate per tre mesi, come se non si fosse presentato a casa sua alle 2:00 di notte ubriaco fradicio, come se non avesse fatto scene di gelosia davanti alla sua migliore amica.
Bene, grazie riuscì a biascicare senza alzare gli occhi dai dolci. Ti presento Serena, la mia fidanzata. La biondina sorrise mostrando denti troppo bianchi per essere veri. Piacere Alessandro mi ha parlato tantissimo di te. dice che fai dei dolci deliziosi. Giulia alzò finalmente lo sguardo.
Serena non poteva avere più di 24 anni con quella pelle liscia che tradiva troppe ore dal chirurgo estetico piuttosto che buoni geni. Gli occhi di Alessandro brillavano di quella cattiveria sottile che lei conosceva bene. Ecco perché era venuto. Non per i cannoli, per mostrarle quanto velocemente l’aveva rimpiazzata. Serena si sporse sul bancone, le tette mezze fuori dal vestito scollato.
Senti, Alessandro mi diceva che tu e lui eravate stati insieme. Che carini! Lui è così premuroso, vero? Ieri sera mi ha portato alla loggia dei lanzi, abbiamo guardato le stelle e poi, beh, meglio non raccontare tutto, no?” ridacchiò come una gallina che aveva appena trovato un verme grasso. Il mondo di Giulia si restrinse a un punto. I rumori del mercato si spensero.
Anche il profumo dei suoi biscotti all’amaretto svanì, sostituito dal sapore amaro della bile che le risaliva in gola. Don Roberto alzò la testa dal banco delle spezie, le sopracciglia folte aggrottate in una smorfia di disapprovazione.
Anche nonna Elena dalla panetteria aveva smesso di impastare e li guardava con la faccia di chi stava per dire la sua. Alessandro si godette il momento di silenzio imbarazzato, poi sorrise. Giulia, dovresti venire a cena con noi una sera? Serena fa un tirami su fantastico, vero amore? Le parole uscirono dalla bocca di Giulia senza che il cervello le processasse. Un tiramisù fantastico. Lei che aveva imparato la ricetta originale dalla nonna di Treviso.
Lei che usava solo savoiardi fatti in casa e mascarpone fresco della latteria di Sanfrediano. Un tiramisù fantastico, fatto con ingredienti del supermercato e panna montata della bomboletta. “Mi dispiace ma ho da fare”, disse Giulia con un filo di voce. Alessandro fece un passo più vicino al bancone. Oh, dai, non fare la timida. Serena e curiosa di sapere com’eri quando stavamo insieme.
Le ho raccontato di quella volta che hai pianto perché avevo dimenticato il nostro anniversario. Ti ricordi? Eri così carina quando piangevi. Il sangue le salì al viso come lava dell’Etna. Quella sera lui aveva dimenticato il loro primo anniversario per uscire con gli amici. Era tornato a casa alle 3:00 ubriaco e puzzolente di profumo femminile.
Lei aveva preparato una cena speciale, aveva indossato il vestito che lui le aveva regalato per il compleanno. Aveva aspettato fino a mezzanotte, seduta al tavolo con le candele che si consumavano. “Ti avevo preparato le lasagne”, sussurrò. Eh sì, le lasagne Alessandro rise, un suono stridente come unghie sulla lavagna. Povera Giulia, sempre così brava ai fornelli.
Una vera mogliettina all’antica, vero Serena? Serena ridacchiò di nuovo. Che dolce. Io invece cucino molto poco. Preferisco che sia Alessandro a portarmi fuori. L’altra sera siamo stati da Alle Murate. Conosci quel ristorante stellato in centro. Alessandro ha ordinato Champagne Don Perignon, immagina Don Perignon, lui che quando stavano insieme le diceva sempre che non potevano permettersi posti costosi che dovevano risparmiare per il futuro, il loro futuro che non era mai arrivato.
Le mani di Giulia afferrarono il bordo del bancone di marmo, le nocche bianche come la ricotta dei cannoli. Intorno a lei il mercato continuava la sua vita. Turisti americani che fotografavano tutto, una famiglia tedesca che comprava pecorino da nonna Carmen, adolescenti fiorentini che ridevano guardando i cellulari, la sua vita normale, il suo mondo sicuro, violato dalla presenza di Alessandro e dalla sua bambola gonfiabile. “Beh,” disse Alessandro dopo un altro momento di silenzio velenoso. “Noi andiamo.
” Serena vuole vedere il ponte vecchio, non è vero, amore? Serena annuì con entusiasmo. Sì, e poi andiamo a fare shopping. Alessandro mi ha promesso una borsa da Gucci. Si girarono per andarsene, ma Alessandro si fermò. Ah, Giulia, quasi dimenticavo. La prossima settimana è il compleanno di mia madre.
Volevo invitarti, ma poi ho pensato, sarebbe un po’ strano, no? con Serena e tutto il resto, la stoccata finale, sua madre, che l’aveva sempre trattata come la figlia che non aveva mai avuto, che le aveva insegnato a fare la pasta fresca e le aveva regalato l’anello della nonna per il giorno del matrimonio che non c’era mai stato.
“Certo”, rispose Giulia con un filo di voce. Capisco. Alessandro sorrise con soddisfazione, prese Serena sottraccio e si allontanò verso i banchi di souvenir turistici. Lei continuava a ridacchiare e a baciargli il collo mentre camminavano. Giulia rimase immobile, le mani ancora attaccate al bancone, gli occhi fissi sui cannoli che si stavano sciogliendo al sole di maggio. Intorno a lei il mercato aveva ripreso vita.
Nonna Carmen che serviva una coppia inglese, don Roberto che pestava pepe rosa nel mortaio, il profumo di caffè che arrivava dal bar all’angolo, ma lei non riusciva a muoversi, non riusciva a respirare. Stronzo maledetto! Brontolò don Roberto abbastanza forte perché mezza piazza lo sentisse. Quello ha bisogno di una lezione di buone maniere.
Giulia, tesoro” disse nonna Carmen, lasciando il banco e avvicinandosi. Stai bene? Vuoi che chiami i carabinieri? No, no, sto bene. Ma non stava bene. Stava morendo di vergogna davanti a tutti quelli che conosceva da quando era bambina, davanti alla comunità che la vedeva crescere ogni giorno tra i profumi di cannella e vaniglia della bancarella della nonna.
Ed è allora che lo vide. Un uomo alto in camicia blu scura, jeans puliti, scarpe di cuoio che costavano più del suo affitto mensile, camminava tra i banchi con la naturalezza di chi apparteneva a quel posto, ma anche con l’eleganza di chi veniva da un mondo diverso. Capelli castani un po’ spettinati dal vento, occhi che osservavano tutto con curiosità genuina, non un turista, non uno del quartiere, qualcosa di mezzo.
si fermò davanti al banco di don Roberto, annusò il basilico fresco, scambiò qualche parola in un italiano perfetto, ma con un accento che non riusciva a identificare. Poi si girò verso di lei, probabilmente attirato dal profumo dei biscotti all’amaretto. I loro occhi si incontrarono per un secondo. Lui sorrise. un sorriso vero che le arrivò dritto al petto, come un sorso di grappa dopo una giornata di pioggia, ma poi, come un fulmine a cel sereno, riapparve Alessandro.
Era tornato indietro, ovviamente non poteva lasciarla in pace. Serena era sparita, probabilmente in bagno, a ritoccarsi il trucco. “Giulia, ho dimenticato di dirti una cosa” disse Alessandro con quel tono falso che conosceva a memoria. Lei si irrigidì. L’uomo elegante era ancora lì a pochi metri, fingeva di guardare i formaggi di nonna Carmen, ma le sue orecchie erano chiaramente sintonizzate sulla loro conversazione. Alessandro si appoggiò al bancone con troppa confidenza.
Senti, so che è finita tra noi, ma questo non significa che dobbiamo essere nemici, no? Magari potremmo riprovarci. Serena e carina, ma tu tu mi conosci, sai come sono fatto. Le gambe di Giulia cedettero, si appoggiò al bancone per non cadere. Lui non poteva farle questo. Non poteva umiliarla così davanti a tutti dopo averle già strappato il cuore e averlo calpestato come l’uva durante la vendemmia. Ma Alessandro non aveva finito. Si avvicinò ancora di più.
La voce si fece più bassa, più intima, come ai vecchi tempi quando le sussurrava dolcezze all’orecchio che poi si rivelavano bugie ben confezionate. Pensaci, Giulia, tu qui con i tuoi dolcetti, io con la mia carriera in banca, potremmo essere una bella coppia, no? una coppia normale. Normale come se lei non fosse normale, come se i suoi sogni, i suoi cannoli, la sua vita fossero meno importanti del suo lavoro in banca, che consisteva nel vendere mutui a gente che non se li poteva permettere. Giulia alzò gli occhi e
incontrò di nuovo lo sguardo dell’uomo elegante. Lui la stava guardando con un’espressione che non riusciva a decifrare. Preoccupazione, curiosità o forse solo la solita pietà che la gente provava per le donne abbandonate che si aggrappavano ai ricordi come naufraghe a un pezzo di legno. No, basta.
non poteva più sopportarlo. Senza pensare, senza respirare, senza rendersi conto di quello che stava facendo, Giulia lasciò il bancone e si avvicinò all’uomo in camicia blu. “Signore”, disse con una voce che le tremava come foglie al vento autunnale. “Potrebbe essere il mio fidanzato per qualche minuto?” L’uomo in camicia blu la guardò per un secondo che sembrò durare un secolo.
I suoi occhi castani studiarono il viso di Giulia, poi si spostarono su Alessandro che li osservava con la mascella spalancata come un merluzzo al mercato del pesce. Naturalmente, tesoro, la voce era calda, sicura, con quell’accento del nord che sapeva di nebbia padana e risotti al barolo. Lorenzo le si avvicinò con passi misurati, come se quella fosse la cosa più normale del mondo, come se ogni martedì mattina belle sconosciute gli chiedessero di fingere di amarle. “Scusa il ritardo” continuò arrivando accanto a Giulia.
Il traffico da Milano era un inferno. Milano, naturalmente. Questo spiegava l’eleganza discreta, le scarpe di cuoio che costavano più del suo affitto, l’aria di chi era abituato a muoversi in ambienti dove si decidevano i destini delle aziende prima di colazione. Lorenzo le passò un braccio intorno alla vita con naturalezza perfetta.
Il gesto era protettivo senza essere possessivo, intimo senza essere invadente. La mano si posò sulla sua schiena come se l’avesse fatto mille volte prima. Giulia si sciolse contro di lui. Il profumo di bergamotto e legno di sandalo le riempì i polmoni, così diverso dall’aftershave economico di Alessandro che sapeva di farmacia e disperazione.
Alessandro rimase a bocca aperta per altri 3 secondi preziosi. Poi il cervello si riaccese e la diffidenza gli indurì i lineamenti. E tu saresti chi, scusa? Lorenzo sorrise, uno di quei sorrisi che nei film americani precedevano sempre, una bella lezione di umiltà. Io sono Lorenzo e tu devi essere l’ex fidanzato di cui Giulia mi ha parlato. Ex fidanzato.
Due parole semplici pronunciate con il tono di chi stava classificando un pezzo da museo. Roba del passato, interessante dal punto di vista archeologico, ma completamente irrilevante per il presente. La faccia di Alessandro divenne rossa come i peperoni di nonna Carmen. Ah, quindi lei ti ha raccontato di me. Che carino. Lorenzo annuì come se stesse prendendo atto di un dato meteorologico.
Certo, mi ha detto che hai fatto fatica ad accettare la fine della vostra relazione. Fatica ad accettare un modo gentile per dire che Alessandro si comportava come un bambino capriccioso a cui avevano tolto il giocattolo preferito. Giulia sentì il braccio di Lorenzo stringerla impercettibilmente, un segnale silenzioso che diceva: “Sto dalla tua parte! Don Roberto aveva smesso di pestare spezie e li guardava con l’attenzione di chi assiste a uno spettacolo migliore della televisione.
Anche nonna Carmen si era avvicinata al confine tra le loro bancarelle, le mani sui fianchi in quella postura che Giulia conosceva dai tempi dell’infanzia. Nonna Carmen pronta alla battaglia. Alessandro si ricompose, tirò fuori quel sorrisetto che una volta Giulia trovava affascinante e ora le faceva venire l’orticaria.
Ah! Bene, sono contento che Giulia si sia rifatta una vita. Spero che tu sappia cucinare perché lei è bravissima ai fornelli. Una vera massaia, la nostra Giulia. Massaia. La parola uscì dalla sua bocca come un insulto mascherato da complimento, come se essere brava in cucina fosse un difetto, un limite, una condanna a una vita di piccole ambizioni domestiche. Lorenzo si irrigidì quasi impercettibilmente.
Il sorriso rimase al suo posto, ma gli occhi si fecero di ghiaccio. In realtà disse con voce sempre gentile, ma con un sottotono d’acciaio, “Quello che più ammiro di Giulia è la sua capacità imprenditoriale: gestire un’attività nel cuore di Firenze, mantenere vive tradizioni centenarie, costruirsi una clientela fedele, non tutti ne sono capaci. imprenditoriale.
Giulia sentì il petto gonfiarsi d’orgoglio come un soufflet appena sfornato. Nessuno l’aveva mai chiamata imprenditoriale. Nemmeno lei stessa aveva mai pensato a se stessa in quei termini. Alessandro balbettò qualcosa di incomprensibile, poi recuperò terreno. Beh, sì, i dolci sono carini. Ma dimmi che lavoro fai. Sei di qua.
Lavoro nell’ambito della consulenza logistica per piccole e medie imprese. Mi occupo principalmente del settore alimentare. La risposta arrivò liscia come olio extravergine di prima spremitura. Giulia lo guardò di sottecchi, impressionata dalla facilità con cui aveva inventato una professione credibile e persino affascinante. Alessandro annuì con l’aria di chi stava già pianificando il prossimo attacco. Ah, interessante.
E dimmi, da quanto tempo state insieme? Lorenzo guardò Giulia con un’espressione che chiunque avrebbe interpretato come adorazione pura. Due mesi, ma sembra una vita. Lei arrossì come se fosse vero, come se davvero ci fossero stati due mesi di sguardi complici, di colazioni a letto, di passeggiate mano nella mano lungo l’arno.
“Due mesi,” ripetè Alessandro con un tono che tradiva chiaramente cosa stava pensando, “Due mesi esatti dopo la fine della nostra storia”. “Che coincidenza! Le coincidenze esistono” disse Lorenzo con la semplicità di chi enuncia una verità universale, soprattutto quando si tratta di amore. Amore la parola galleggiò nell’aria del mercato come il profumo dei biscotti all’amaretto.
Giulia sentì le ginocchia sciogliersi un po’ di più. Alessandro capì di aver perso questa battaglia. lanciò un’ultima occhiataccia a entrambi, mormorò qualcosa sui ritardatari e le seconde scelte, poi si allontanò in cerca di Serena che probabilmente si stava ancora aggiustando il trucco nel bagno del bar. Appena sparì dietro il banco dei fiori di Marco, Lorenzo lasciò andare la vita di Giulia.
Lei sentì immediatamente la mancanza del suo calore, come quando si esce da una casa riscaldata in una giornata di gennaio. “Grazie”, riuscì a sussurrare. “Non so come ringraziarla”. Lorenzo sorrise. Questa volta un sorriso vero, senza secondi fini. Niente da ringraziare. Quello stronzo aveva bisogno di una lezione di buone maniere. stronzo.
Sentirlo dalle labbra di quell’uomo elegante suonò magnificamente inappropriato e perfettamente giusto allo stesso tempo. Nonna Carmen si avvicinò con passo deciso, gli occhi che brillavano di curiosità maliziosa. Allora Giulia, non ce lo presenti questo bel giovanotto? Giulia guardò Lorenzo con panico negli occhi. Non sapeva nemmeno il suo nome.
Come poteva presentarlo? Lorenzo, come se avesse letto nei suoi pensieri, tese la mano verso nonna Carmen. Lorenzo Moretti, piacere. Ho sentito parlare molto di lei, nonna Carmen. Giulia dice sempre che fa le verdure biologiche più buone di tutta Toscana. Nonna Carmen si scioglie come burro al sole. Ah, questo ragazzo mi piace già.
E dimmi, Lorenzo, cosa ne pensi dei nostri cannoli? Li assaggio subito, se Giulia me lo permette. Giulia annuì, ancora stordita dall’intera situazione. Lorenzo prese un cannolo dal vassoio, lo addentò con la reverenza di un sacerdote che assume l’ostia. I suoi occhi si chiusero per un momento. Madonna mia, questo è paradiso terrestre. Le parole le arrivarono dritte al cuore come frecce di cupido ben mirate.
Alessandro non aveva mai apprezzato i suoi dolci, li mangiava distrattamente guardando il cellulare, come se fossero carburante per il corpo. E niente più. Don Roberto si era avvicinato anche lui, attirato dalla piccola folla che si stava formando. Bravo ragazzo, si vede che ha buon gusto. Lorenzo finì il cannolo e si pulì le dita con un tovagliolo di carta.
Giulia, possiamo parlare un momento in privato? Lei annuì il cuore che batteva come un tamburo durante la festa del palio. Lo guidò dietro la bancarella, nell’angolino dove teneva le scorte e dove nessuno poteva sentirli. “Senta,” cominciò lei con voce tremula. “Non so come ringraziarla.
Lei non mi conosce nemmeno e ha fatto una cosa bellissima per me.” Lorenzo la interruppe con un gesto della mano. “Quel tipo ti stava molestando? La parola, molestando, le esplose in petto come un petardo. Nessuno l’aveva mai detta ad alta voce, nemmeno lei stessa aveva mai osato pensarla. Beh, non proprio.
Cioè, Giulia lo interrò Lorenzo con gentilezza, quello che ho visto poco fa non era normale. Un ex fidanzato che si presenta con un’altra donna per umiliarti pubblicamente, che ti propone di riprovarci dopo averti già scaricata. Questo si chiama molestia psicologica. Molestia psicologica. Le parole le diedero il permesso di ammettere quello che sapeva da mesi, ma non riusciva a confessare nemmeno a se stessa.
Sono tre mesi che mi telefona, che si presenta qui al mercato, che mi aspetta sotto casa, dice che dobbiamo parlare, che ha sbagliato, che Serena non significa niente. Poi la porta qui come un trofeo per farmi male. Lorenzo annuì con espressione seria. E i carabinieri? Non posso. Non ha mai fatto niente di davvero grave, solo parole, sguardi, presenza costante.
Chi mi crederebbe? Ti credo io. Due parole semplici che le fecero più bene di tutte le tisane calmanti di nonna Carmen messe insieme. Senta continuò Lorenzo. Ho un’idea. Quello tornerà, vero? Giulia annuì tristemente. Alessandro non si arrendeva mai. Era la sua qualità migliore quando stavano insieme e ora era diventata la sua maledizione.
Ecco, disse Lorenzo, io vengo qui ogni martedì e venerdì mattina per lavoro. Dovrei incontrare alcuni fornitori della zona. Se non le dispiace, potrei continuare a fare il fidanzato di facciata, solo finché quel deficiente non si convince che deve lasciarla in pace. Lei lo guardò come se le avesse proposto di volare sulla luna con un palloncino.
Ma perché? Perché dovrebbe aiutare una sconosciuta? Lorenzo sorrise con una tristezza che non riusciva a nascondere completamente. Diciamo che so cosa significa essere molestati da qualcuno che dice di amarti. E poi i suoi cannoli sono davvero paradiso terrestre. Varrebbe la pena venire qui solo per quelli. Giulia rise per la prima volta in tre mesi.
Una risata vera, liberatoria, come quando si starnutisce dopo aver tenuto dentro l’impulso per troppo tempo. “D’accordo”, disse, “ma con delle regole precise. Niente equivoci, niente situazioni ambigue, solo recitazione davanti ad Alessandro e poi ognuno per la sua strada.” Lorenzo le tese la mano. Patto.
Giulia gliela strinse, sorpresa dalla fermezza della stretta. Patto. Non sapeva ancora che alcuni patti sono destinati a essere infranti come biscotti troppo cotti. La campana della basilica batte le quando Lorenzo compare all’angolo di via dei serragli con un mazzo di peoni avvolte in carta paglia. Il mercato è già un alveare ronzante e l’odore di caffè tostato sfiora i sensi come un invito segreto.
I passi dell’uomo risuonano tranquilli sui sampietrini lucidi di pioggia notturna. Qualcuno lo riconosce dal giorno dell’alterco e bisbiglia. Ecco il fidanzato della ragazza dei cannoli. Le voci rimbalzano fra le tende color panna, crescono come impasto lievitato e arrivano al banco di Giulia prima di lui. Giulia sta sistemando i biscotti a ferro di cavallo su un vassoio di ceramica di deruta. Ogni movimento è misurato, ma le mani tradiscono una lieve fretta.
Questa è la prima prova, la prima recita vera della nuova commedia e il pubblico non potrebbe essere più attento. Nonna Carmen finge di lavare zucchine, ma spia tra le foglie verde scuro. Don Roberto tiene in sospeso il cucchiaio sopra il mortaio, incapace di pestare il coriandolo finché non avrà giudicato la scena.
Persino i piccioni restano sulle gronde, le teste piegate come vecchi spettatori a loggione. Lorenzo si ferma a un passo dal bancone, appoggia i fiori sul marmo venato, inclina appena il capo e sorride. Giulia sente le ginocchia ammorbidirsi in una resa che non aveva preventivato. Lo sguardo di Lorenzo cerca il suo come un gancio di velcro.
Buongiorno”, dice lui con una voce che non fa rumore, eppure riempie lo spazio tra loro come crema di mascarpone. Giulia risponde “Buongiorno, Lorenzo” con un filo di voce e poi aggiunge: “Amore mio, come avevano concordato in un messaggio rapido la sera precedente: “Non è una bugia totale”, si ripete, “È solo una menzogna necessaria, un ponte di legno tra due rive pericolose.” Lorenzo alza delicato il coperchio della campana di vetro e annusa i biscotti.
Profumano di mandorle e vino santo. Con una naturalezza disarmante ne prende uno, lo spezza in due parti uguali e porge metà a Giulia come atto di complicità. Lei apre le labbra, assaggia, avverte la dolcezza tenue irridere il palato. Lorenzo mastica lentamente, gli occhi socchiusi e poi commenta: “Il grado di tostatura è perfetto.
La nota di agrumi sul finale rende il biscotto più leggero di quel che sembra. Il complimento arriva così tecnico che don Roberto, maestro indiscusso di aromi, alza un sopracciglio rispettoso. Giulia sente nascere un sorriso che non aveva programmato.
Lorenzo chiede di provare anche il tiramisù, quello servito in bicchieri di vetro basso, con una spolverata di cacao che disegna il giglio di Firenze. Solleva il cucchiaino e lascia che affondi nel mascarpone candido. Assapora a occhi chiusi, poi descrive quasi fosse un sommelier. Equilibrio fra amarezza del caffè e dolcezza del tuorlo. Struttura cremosa che si scioglie senza grumi. Il pubblico che ascolta trattiene un o meravigliato.
Giulia non immaginava esistesse qualcuno capace di gustare i suoi dolci con tanto rispetto. Nell’istante in cui Lorenzo le lancia uno sguardo divertito, lei pensa che non sta più recitando per Alessandro. sta condividendo un piacere sincero con un uomo che capisce la differenza fra zucchero e zucchero a velo. Una coppia di turisti francesi si avvicina incuriosita.
Lorenzo, con l’entusiasmo di un addetto alle vendite, spiega in francese la storia del cannolo alla ricotta di pecora. Cita nonna Francesca come depositaria di ricette secolari. descrive il passaggio dell’impasto attorno ai cilindri d’acciaio. I turisti comprano otto pezzi senza contrattare e se ne vanno ringraziando. Nonna Carmen scuote la testa estasiata.
Giulia invece si accorge che la cassa ha guadagnato il doppio rispetto alle 9:00 del mattino di qualsiasi martedì. Quando il mercato sembra placarsi, Lorenzo allunga lo sguardo oltre il banco, come se volesse fotografare l’insieme. Vede le file di visitatori, le merci disposte, i cartelli scritti a mano.
Il sopracciglio destro gli si alza in un lampo di calcolo. Dice che il flusso di gente segue un corridoio naturale fra il bar del Cappuccino e la panetteria di nonna Elena, ma che il banchetto dei dolci sta leggermente fuori rotta. Basterebbe spostare il tavolo un metro avanti e mettere un piccolo cartello a lavagna con la parola degustazione gratuita.
Il pubblico in fila per il caffè si fermerebbe per assaggiare e cederebbe volentieri all’acquisto compulsivo. Giulia ascolta stupita. Questa è logistica, marketing puro, la lingua dei consulenti che lei non ha mai studiato, ma ogni frase di lui suona precisa, quasi scientifica.
Sente salire l’eccitazione, una corrente di possibilità che le accende la mente più di una tazza di espresso. Poco dopo le 11:00, una borsa in pelle color cognac appare all’orizzonte accompagnata da mocassini lucidi. Alessandro sta arrivando senza Serena. Evidentemente deciso a un confronto diretto. Cammina con l’andatura di chi crede di possedere il terreno sotto i piedi.
Quando nota Lorenzo e Giulia quasi mano nella mano, rallenta ma non si ferma. Il sorriso che gli si disegna sul volto non è un saluto, è una lama pronta a incidere. Giulia sente il respiro farsi corto. Aveva immaginato quel momento, ma la realtà ha sempre un odore più acre della fantasia.
Lorenzo coglie la tensione al volo, non fa domande, cambia posizione, si piazza di lato come un portiere davanti al rigore, ma con eleganza, alza un biscotto come se fosse un calice e lo porge ad Alessandro con cortesia che sa di sfida mascherata. “Buona giornata, Alessandro” dice Lorenzo con un tono di cortesia neutra quasi aziendale. “Abbiamo appena lanciato una degustazione gratuita”. Gradisci? Alessandro risponde con un sogghigno.
Chiede se Lorenzo lavora qui adesso, se fa lo stagionale ai mercati rionali. Prova a gettare veleno nelle parole, sperando di umiliare l’avversario di fronte a tutti. Lorenzo non si scompone. Commenta che aiutare la propria compagna è un piacere, non un lavoro e che questa piccola impresa merita di crescere.
Le parole colpiscono Alessandro come una stecca sul biliardo che devia la traiettoria. non trova subito la replica. Allora Alessandro tenta con la provocazione diretta. Chiede perché non si sono mai visti prima nei locali del centro, nei salotti buoni dove lui è di casa. chiede di raccontare come si sono conosciuti e quanti mesi stanno insieme.
Giulia si irrigidisce, ma Lorenzo prende la domanda al volo. Racconta che si sono conosciuti a un pranzo di fornitori dell’olio toscano, che lui cercava piccoli produttori per un progetto internazionale e ha finito col trovare la donna più straordinaria del mercato. snocciola dettagli credibili, la trattoria in cui si sono seduti, il piatto di pici all’aglione condiviso, la battuta sulla squadra di calcio del cuore.
Alessandro osserva la scena con occhi stretti, segnala che i conti non tornano, che lui era stato con Giulia fino a marzo. Lorenzo replica pacato che l’amore non segue calendari e che la data del primo bacio resta segreta fra loro due. Il pubblico attorno mormora come un mare in lontananza. Giulia nota un fatto inaspettato. Mentre Lorenzo offende le domande di Alessandro, non pronuncia parole aggressive.
Ogni frase è un colpo di fioretto, lucido, ma mai volgare. Non cerca di annientare, solo di proteggere. C’è in lui una fermezza gentile che la fa sentire al sicuro, come da bambina, quando nonna la copriva con la coperta di lana a quadri. Alessandro capisce che la folla non è dalla sua parte.
Vede il viso di nonna Carmen duro come marmo, quello di don Roberto solcato da una smorfia sprezzante. Una turista americana scatta una foto alla bancarella proprio mentre Lorenzo porge un biscotto a Giulia e Alessandro realizza che ogni sua mossa appare patetica ai presenti. Decide di defilarsi.
Prima di girarsi però avvicina le labbra all’orecchio di Giulia e si il gioco non durerà, che la verità verrà a galla. Poi sguscia nel dedalo di ombrelli colorati e scompare. Il mercato espira. Il brusio ricomincia come orchestra che riprende il motivo dopo la pausa. Giulia ha la sensazione di essere sopravvissuta a un temporale improvviso. Lorenzo le tocca il gomito, le chiede con un’occhiata se va tutto bene.
Lei annuisce, ma la parola bene non le basta. prova un impasto di gratitudine, sollievo e qualcosa di più scuro che le vibra nello stomaco. A mezzogiorno la fila davanti alla bancarella è lunga due volte, il solito. Un gruppo di studenti dell’Accademia delle Belle Arti ordina tiramisù da portare via. Due suore di un convento vicino comprano biscotti per la mensa.
Un influencer milanese fa una story con Giulia sullo sfondo. Lorenzo gestisce la ressa con naturalezza. Incassa pagamenti, spiega ingredienti, ringrazia in inglese e in francese come un direttore d’orchestra che tiene il tempo senza perdere una nota. Ogni volta che passa dietro a Giulia sfiora la sua schiena con un gesto tanto rapido quanto tenero, quasi per ricaricare un contatto elettrico.
Verso le 2:00 il mercato si dirada, i banchi iniziano a richiudere le tende, i profumi si attenuano. Giulia conta l’incasso e trattiene un fischio. Ha venduto più in una mattina che in tre giorni di media. Lorenzo appoggia i gomiti sul marmo, la osserva con un sorriso complice, dice che il prodotto è eccellente, basta aggiustare il display e magari creare un set degustazione a prezzo fisso per attirare clienti che non sanno scegliere.
Parla di posizionamento del brand, di packaging sostenibile, di collaborazione con caffetterie del centro. Giulia sente la testa girare, ma non per la fatica. È come se qualcuno avesse spalancato la finestra di una stanza che pensava di conoscere e le avesse mostrato una vista su colline lontane.
Quando il banco è chiuso, Lorenzo propone una passeggiata breve oltre la piazza per prendere un gelato da Badiani. Giulia accetta, ancora stupita di sé stessa. Non sono più sotto lo sguardo della comunità. Eppure lei non sente urgenza di sciogliere il legame di finzione. Camminano fianco a fianco, le mani un po’ troppo vicine per caso. Parlano dei gusti di gelato preferiti, scoprono di condividere la passione per il pistacchio di Bronte.
Lorenzo racconta che da ragazzino passava l’estate a casa di uno zio in Sicilia e aiutava a raccogliere le bacche di cappero sui muretti a secco. Giulia rivela che la nonna le faceva nascondere gli amaretti fritti nella tasca del grembiule per premiarla quando riusciva a montare gli albumi a neve senza farli smontare.
La voce di Giulia cambia quando parla della nonna. Diventa un filo di seta con cui ricama l’aria. Lorenzo se ne accorge e ascolta senza interrompere. Gli occhi si fanno scuri, pieni di rispetto. Le dice in tono basso che vorrebbe un giorno vedere la cucina dove nascono quei dolci.
Giulia arrossisce e pensa che è solo cortesia, ma una parte profonda di lei fiorisce all’idea di quell’uomo in mezzo ai suoi barattoli di mandorle e scorze d’arancia candite. Tornano al mercato per recuperare la sporta di tele che Giulia ha dimenticato. Il sole pomeridiano disegna ombre taglienti sulle pietre.
Nonna Carmen sta chiudendo la tenda del suo banco e li sorprende vicini. sorride con un lampo negli occhi e dice che Lorenzo sa scegliere le peonie quasi meglio dei carciofi. Poi fa un cenno a Giulia perché si avvicini, le sussurra che un uomo capace di difendere e poi lavorare sodo merita fiducia. Le parole di nonna Carmen sono semi che cadono in un campo già pronto.
Poco più in là, don Roberto appoggia un sacchetto di cannella sulla mano di Giulia come regalo per i suoi biscotti. dice che la qualità del fidanzato ha migliorato anche i profumi del mercato. La battuta fa ridere Lorenzo che ringrazia afferrando la mano del vecchio mercante in una stretta franca. La rete di approvazione si stringe attorno a lui come un abbraccio collettivo.
Prima di congedarsi Lorenzo prende la sporta e la porta fino alla piccola utilitaria di Giulia parcheggiata in fondo alla piazzetta. carica le casse di legno vuote con gesti lenti, quasi rituali. Il motore della macchina tossisce quando lei gira la chiave.
Giulia pensa che deve cambiare la batteria, ma il conto della banca langue. Lorenzo chiede se giovedì ha in programma di impastare. Giulia dice di sì, sempre all’alba. Lui sorride e risponde che passerà a prendere un cappuccino e un cannolo per colazione, che così si vede se la teoria sulla vetrina funziona anche nei giorni feriali. Giulia annuisce, vorrebbe aggiungere qualcosa, ma la lingua le resta impigliata tra le labbra.
Lorenzo le tocca il polso con le dita, un contatto brevissimo che sembra però prolungarsi oltre il tempo misurabile. Le augura buona serata, poi si volta e se ne va con passo leggero da uomo che conosce la strada. Non si gira indietro, o forse sì, ma Giulia non vede perché la pelle le arde dove lui l’ha sfiorata e il cuore le martella come il pestello di don Roberto.
Accende la radio, ma la spegne subito. La musica le pare troppo rumorosa. Conduce l’auto fuori dal centro verso casa, ma a ogni semaforo rivede la faccia di Lorenzo, riascolta la sua voce, risente la fermezza con cui ha affermato Alessandro. Sull’ultimo rettilineo un dubbio si infiltra come una goccia d’olio sulla carta.
E se l’accordo scivolasse fuori dai binari? E se la finzione rifiutasse di restare confinata nella cornice del mercato, nonna diceva che l’amore è come il lievito madre. Basta un niente perché invada il contenitore. Giulia parcheggia, spegne il motore e resta seduta con le mani sul volante. La luce dorata del tardo pomeriggio entra dal parabrezza e la avvolge in un caldo abbraccio. Il dubbio diventa domanda.
Il cuore risponde con un battito che pare un sì timido. Teme il disastro, ma la speranza ha il sapore di ricotta fresca. Quella sera, mentre se taccia farina per le crostate del giorno dopo, Giulia si accorge di canticchiare senza volerlo. L’unica nota stonata è il ricordo della promessa fatta a se stessa. Niente sentimenti veri, solo teatro.
Si ferma, pulisce il tavolo con un colpo secco di spugna, come se potesse cancellare anche l’incertezza. Ma la mente ritorna a Lorenzo che spezza un biscotto e dice paradiso terrestre. Il sorriso le sfugge di nuovo, testardo. Sa che il copione stabilito non prevede repliche fuori scena, ma la vita ha sempre la penna più capricciosa.
In lontananza, su via della Chiesa, una sirena dei vigili urbani ulula un attimo e tace. Firenze si addormenta pian piano. I marmi delle facciate prendono il colore del latte caldo. Giulia inforna l’ultima teglia di biscotti e si appoggia alla stufa accesa. Lascia che il calore le salga lungo la schiena. Ascolta il crepitio dell’impasto che si assesta.
Ogni piccola esplosione d’aria dentro il forno le ricorda un pensiero che scoppia nella sua testa. È l’inizio di qualcosa, se avrà il coraggio di ammetterlo. Chiude gli occhi, vede mastelli di crema, vede mani forti che le aiutano a sollevare sacchi di farina, vede un cartello a lavagna con la scritta degustazione gratuita che attira file di clienti sorridenti.
Infine vede Alessandro che si allontana sotto un cielo pallido, la figura sempre più piccola finché sparisce dietro un volto maiuscolo di Lorenzo che la chiama amore con voce chiara. Quando riapre gli occhi, una lacrima le solca la guancia. Non è tristezza né paura, è qualcosa che assomiglia a desiderio. Mentre il timer del forno suona, Giulia decide che domani comprerà un gesso colorato e scriverà davvero degustazione gratuita su una lavagnetta. Decide anche che appoggerà il tavolo un metro più avanti.
Se il mercato è un palcoscenico, intende recitare la parte da protagonista. sente la mano di Lorenzo ancora sul polso e non le dispiace affatto. Dentro il forno i biscotti diventano d’oro. Fuori la notte di Firenze sa di vaniglia e promesse. Alle 6:00 del mattino il cielo di Firenze è ancora color pergamena, ma il forno di Giulia già ruggisce come un drago addormentato che si risveglia col profumo di burro.
Lei infarina il piano di marmo, piega l’impasto dei biscotti e sente un familiare colpetto al vetro della porta sul retro. È Lorenzo con due cappuccini fumanti del bar all’angolo. Nessuna parola superflua, appoggia i bicchieri sul tavolo, si sfila la giacca e rimbocca le maniche della camicia. La routina è nata così, senza firma né stretta di mano, come se fosse sempre esistita. Martedì e venerdì all’alba.
Lorenzo arriva quando i primi tram sferragliano sul lungarno, aiuta a dosare farina, riempie le sacche a poche, mette la musica a basso volume sul telefono, lo fa con disinvoltura. Eppure ogni gesto tradisce un rispetto quasi cerimoniale per quel laboratorio che odora di scorza d’arancia candita. Giulia si sorprende di quanto sia naturale dividere lo spazio con lui.
Lorenzo non invade, si muove come un sommelier fra botti di vino. Un passo indietro se lei deve raggiungere il frigo, un cenno appena quando la crema pasticcera ha bisogno di un colpo di frusta. In 20 minuti preparano quattro teglie di cantucci e un vassoio di tirami su monoporzione. Prima di uscire Giulia gli lancia un mestolo, lui lo afferra al volo, ride, spalma ricotta dentro le cialde dei cannoli con la perizia di chi ha imparato in fretta, o forse sapeva già.
Al mercato la loro sincronia si fa spettacolo. Giulia dispone i biscotti. Lorenzo retrocede di un passo per valutare la vetrina. inclina un piatto di ceramica per catturare la luce. Suggerisce di alzare la base del tiramisù con un piedistallo di legno in modo che i turisti scattino foto. Giulia esegue.
Appena aperto il banco sembra un quadro di natura morta dipinto da un artista fiammingo. Colori caldi, geometrie pensate, un ordine che invita il caos dei passanti a fermarsi. Con il passare delle settimane, il quartiere interiorizza la presenza di Lorenzo, come si interiorizza il suono di un campanile. Nonna Carmen ride più del solito. Quando lo vede arrivare fa trovare un cestino di pomodorini datterini solo per lui.
Nonna Elena, che non regala complimenti, gli cede una pagnotta di lievito madre appena sfornata. Don Roberto smette perfino di criticare il governo. Preferisce discutere con Lorenzo di rotte commerciali del Pepe di Sarawak e di possibili sinergie con i dolci di Giulia.
Un martedì, finito il picco di clientela, Giulia e Lorenzo si uniscono al pranzo improvvisato dietro i banchi. Piatti di ceramica sbeccata, tovaglioli di carta, fiaschi di chianti travasati in brocche. Lorenzo ascolta le chiacchiere dei venditori. Sorride quando Marco il fioraio racconta di aver battezzato una nuova rosa con il nome di sua moglie. Interviene quando la macellaia rosa si lamenta del costo del trasporto dalla Maremma.
suggerisce una cooperativa d’acquisto per dividere le spese. Cita numeri e percorsi stradali che fanno ammutolire i presenti. Giulia osserva, sorpresa dalla facilità con cui lui coniuga eleganza e praticità, come se la cravatta invisibile potesse convivere con le mani nella farina.
Tra un boccone di ribollita e una fetta di crostata, Lorenzo si china all’orecchio di Giulia e propone un’idea. Pacchetti degustazione per le caffetterie del centro turistico con etichette che raccontino la storia della nonna e del mercato. Dice che può curare lui la logistica, definire il prezzo, contattare i baristi che conoscono i flussi di crociere sul Tirreno. Giulia sente un brivido, non di paura, ma di prospettiva.
Il sogno di una pasticceria propria si sposta dal domani indefinito a un calendario con date ipotetiche. Il venerdì successivo Lorenzo arriva con un prototipo di scatola, cartone riciclato, finestra trasparente in accetato, logo disegnato da un’amica grafica a Milano. Il marchio dice Dolci Rossi Firenze e sotto in corsivo dal 1924 con amore Giulia passa le dita sul rilievo opaco dell’inchiostro e avverte un nodo nello stomaco che è metà gioia e metà timore.
Lorenzo nota l’esitazione, le dice sottovoce che ogni impresa grande parte da un banco minuscolo ed il coraggio di spostare un tavolo di 1 metro. Lei ride, gli dà una spinta leggera sulla spalla. Il contatto dura poco, ma la scossa resta. Alla fine del mese il mercato organizza la grigliata annuale nella corte interna tra vecchi archi di mattoni e lucine appese a catenaria.
Lorenzo porta una bottiglia di Barolo, Giulia un cestino di amaretti morbidi. Mangiano salsicce, ascoltano la fisarmonica di Piero il pescivendolo, si scambiano pezzi di pane intinti nell’olio nuovo. A un certo punto la neve di piccole luci si riflette negli occhi di Giulia e Lorenzo le passa un pollice sulla guancia togliendo una briciola immaginaria.
Il gesto è minimo, quasi involontario, ma scalda l’aria come un alito d’inverno su vetro freddo. Giulia arrossisce fin dentro le orecchie. Lui la guarda con una domanda muta che lei non osa tradurre. Qualche banco più in là, Alessandro compare di colpo come un refolo gelido. Non fa scene, ma resta a distanza le mani in tasca, gli occhi puntati su di loro. Giulia sente la pelle del collo pungerle sotto lo sguardo viscoso dell’ex.
Lorenzo percepisce il gelo, le sfiora la mano con la propria. Due dita che si intrecciano bastano a dissolvere la lama di tensione. Alessandro gira i tacchi, ma Giulia sa che non è finita. Nelle ultime settimane lui ha lasciato biglietti sotto al tergicristallo della sua auto, messaggi senza firma, ma con le maiuscole nervose che riconosce a occhi chiusi.
Le minacce sono sottili come fili di ragno, però tessono una rete asfissiante. Una sera di pioggia, mentre chiude il laboratorio, Giulia trova Lorenzo ad attenderla sotto il portico con un ombrello grande come un’ala di pipistrello. dice che ha visto Alessandro a poche vie di distanza e ha pensato che fosse meglio accompagnarla. Camminano nel buio odoroso di pietra bagnata, il rumore delle gocce sui sampietrini misto al profumo di tigli umidi. Giulia confessa di sentirsi un topo inseguito da un gatto invisibile.
Lorenzo la ferma sotto un lampione, le prende il viso tra le mani e la guarda senza sconti. “Non sei sola, dice piano, finché lo credi gli dai potere”. Lei annuisce, ma due lacrime scivolano lo stesso. Lorenzo le asciuga gli zigomi con i pollici, poi posa le labbra sulle sue in un bacio lieve, quasi un sorso di acqua tiepida contro il gelo della paura.
Non c’è fretta né urgenza carnale, è un patto silenzioso di protezione. Quando si staccano, Giulia resta con gli occhi chiusi un attimo di troppo. L’accordo era solo finzione, ma la bocca tremante tradisce un desiderio autentico. I giorni scorrono e il banco di Dolci Rossi diventa una tappa obbligata per guide turistiche e studenti fuori, merito della lavagna colorata che invita a degustare gratis, merito delle scatole di cartone riciclato che fanno impazzire gli influencer green. Ogni mattina Lorenzo arriva in giacca chiara, saluta i
venditori per nome, aggiorna Giulia sui contatti presi, un ristorante inoltrarno che vorrebbe tirarmi su in barattolo, una libreria caffè che sogna biscotti a forma di lettera. La lista cresce e Giulia compila foglie Excel la sera seduta sul divano con Lorenzo al telefono che spiega come calcolare margini e tempi di consegna.
Spesso fanno tardi e lui conclude con una battuta o un ricordo di infanzia che la fa addormentare col sorriso. Una mattina di metà giugno Giulia riceve un pacco anonimo, dentro un vasetto di crema di pistacchio rotto e una foto strappata in due, lei e Lorenzo dietro al banco con la scritta vergogna in pennarello rosso sul retro. Non serve la firma.
Giulia vailla, sente il sapore metallico dell’ansia salire in gola. Non dice niente a Lorenzo, ma passeggia per il mercato con lo stomaco serrato. A pranzo lui si accorge del colore cera del suo viso. Si sedono su una panchina di pietra e Giulia crolla, rivela il pacco, mostra la foto. Lorenzo diventa serio, ma non alza la voce. propone di andare dai carabinieri.
Lei rifiuta, teme che Alessandro peggiori. Lorenzo allora le promette che non la lascerà mai sola al mercato. La seguirà anche quando ritirerà le casse a magazzino. Giulia accetta col capo, poi appoggia la fronte sulla spalla di lui. Il contatto dura un respiro lungo, ma basta rinforzare la fibra del coraggio. Col passare delle settimane l’intesa si incarna in piccoli tocchi.
Polsi che si sfiorano mentre contano monete, gomiti che si incrociano durante il pranzo, spalle che si cercano nel corridoio stretto fra i banchi. Una domenica si ritrovano entrambi liberi e decidono di visitare il mercato centrale a San Lorenzo per studiare idee di allestimento. Girano tra i banchi di gastronomia, assaggiano pecorini aromatizzati al tartufo, prendono appunti su lampade industriali che illuminano focacce ripiene.
Giulia indica una libreria modulare e dice che vorrebbe esporre così i biscotti. Lorenzo risponde: “Che si può fare con legno di recupero”, conosce un falegname a Settignano. Sembrano una coppia in procinto di aprire un locale e l’immagine restituita dagli specchi delle colonne li fa arrossire entrambi. Nel pomeriggio entrano in una piccola chiesa romanica per ripararsi da un acquazzone improvviso.
L’ambiente odora di incenso e pietra umida. siedono nell’ultima fila, ascoltano il rintocco di un organo che prova accordi. Lorenzo confessa di aver smesso da tempo di credere in qualcosa di più grande di sé, ma che ultimamente sente la vita sussurrare possibilità. Giulia racconta di quando a 8 anni rubò un cucchiaino d’argento dal banco della nonna perché lo trovava bellissimo e di come confessò il furto durante la messa domenicale piangendo.
La nonna le disse che le mani che rubano possono anche impastare il bene. Lorenzo ride piano, le prende la mano. La stretta non è un gesto teatrale, è la semplice dichiarazione che l’ascolto è completo. Quella sera lo accompagna alla stazione di Santa Maria Novella. Lorenzo deve salire sul Freccia Rossa per Milano, una riunione con un cliente storico che non può rimandare.
Mentre annunciano l’imbarco, lui infila un biglietto nel palmo di Giulia. Dentro una lista di passi per formalizzare la piccola società Dolci Rossi Serelle, con margini di investimento minimi e un prestito agevolato di cui si è già informato. Giulia stringe il foglio come fosse seta pregiata. Alza gli occhi lucidi. Lorenzo la bacia all’angolo della bocca. Un tocco rapido.
Dice, “Torno domani sera, non cucinare troppo”. Lei risponde: “Cucini tu, Milano avrà fame.” Il treno parte, le luci scorrono e spariscono. Giulia resta sulla banchina con il cuore che corre più veloce delle ruote in acciaio. Il giorno dopo, al mercato, Giulia è sola dietro al banco. Sente Alessandro dietro un pilastro, percepisce l’odore del suo dopobarba chimico, lo ignora e serve clienti con voce ferma.
Alessandro si avvicina, posa il gomito sul marmo come cane che marca il territorio. Dice che Lorenzo l’ha lasciata sola, che gli uomini passano e lei resta qui fra briciole di biscotti. Giulia alza lo sguardo, sente il terreno oscillare un secondo, ma ricorda le parole di Lorenzo sotto il lampione. Non sei sola. Respira, allunga un cannolo verso un turista argentino, ringrazia in spagnolo.
Alessandro si incupisce, stringe la mascella, la chiama per nome con voce bassa, dice che se lui non può averla nessuno la avrà. Giulia trema, ma stringe i pugni sotto al banco. Non reagisce con panico, reagisce con silenzio. Alessandro, frustrato, se ne va tra le bancarelle, urlando insulti che rimbalzano sui tetti di tegola.
La sera stessa Lorenzo rientra e trova Giulia nel laboratorio. La luce al neon accentua occhiaie che non c’erano. Giulia racconta l’episodio, il tono piatto come un referto medico. Lorenzo la ascolta, poi appoggia la schiena al muro e chiude gli occhi. Dice che non tollererà oltre.
Propone di coinvolgere gli altri mercanti, creare un dossier di testimonianze, portarlo alle autorità. Giulia teme ritorsioni, ma Lorenzo le mostra i biglietti accumulati. Le foto strappate, le prove che Alessandro si è spinto oltre la molestia verbale. Promette che sarà al suo fianco durante ogni dichiarazione. Giulia sente la muraglia di paura incrinarsi, lo ringrazia con una carezza sul profilo della guancia. Lorenzo piega il capo nel palmo di lei, poi risale e la bacia.
Non è più un gesto di conforto, è un bacio pieno, lento, che profuma di zucchero caramellato e vino rosso. Giulia ricambia le mani tra i capelli di lui, il corpo che finalmente smette di tremare. Da quel momento qualcosa cambia. Quando Lorenzo la chiama amore durante le vendite, non recita più. Giulia se ne accorge perché il nome le vibra dentro come campanelli di Pasqua.
La notte sogna una bottega con vetrine avvolta, lampade dottone e profumo di brioche calde. Sogna Lorenzo che impasta pane dolce accanto a lei, le mani infarinate che cercano le sue. Al risveglio il cuscino sa di lavanda, ma anche di attesa. Intanto Alessandro continua la sua ombra a distanza, ma presente.
Lorenzo installa telecamere di sorveglianza discrete, parla con il comandante dei vigili, avvia pratiche per un’ordinanza restrittiva. Ogni passo è documentato, ogni prova raccolta. Giulia partecipa alle riunioni col maresciallo. La voce all’inizio trema, poi si fa salda. Scopre di poter nominare la paura senza sentirsi piccola. Lorenzo le stringe la mano sotto il tavolo del comando.
Giulia sposta le dita, incastra le sue in un incastro saldo come graffe su un pacchetto. Una sera d’estate, al termine di un’altra giornata di mercato, Lorenzo invita Giulia a salire in scooter sulle colline di Fiesole. Arrivano alla terrazza dell’anfiteatro romano, dove il vento odora di pini marittimi. Portano con sé un cestino di cannoli e un fiasco di vino bianco.
Seduti sui gradini antichi parlano delle proprie famiglie. Lorenzo racconta del padre falegname morto di infarto mentre lui era al liceo, della madre trasferita in Puglia con un nuovo compagno, del fratello che gestisce un’enoteca a Parma.
dice di avere avuto una startup che vendeva software di logistica, di averla ceduta e di essersi trovato milionario senza sapere che fare dei soldi. Confessa che nessun investitore lo ha mai guardato in volto, ma tutti guardavano il suo portafoglio. Giulia ascolta, sente le ossa del proprio passato scricchiolare, poi svela la sua verità. La madre partita quando lei aveva tre anni, il padre camionista che si addormentava sul divano con l’odore di gasolio addosso, la nonna che l’ha cresciuta e le ha insegnato a vedere poesia in una scorza d’arancia. Il crepuscolo avvolge l’arena di un viola vellutato. Lorenzo accarezza
la treccia di Giulia. dice che la vita gli ha dato troppi numeri e pochi sapori finché ha assaggiato i suoi cannoli. Lei ride, gli mette un dito sulle labbra, dice che i cannoli vengono dalla Sicilia, non da lei. Lorenzo ribatte che senza le sue mani la ricotta resterebbe un’idea incompiuta.
Le parole corrono leggere come lucciole attorno a loro. Alla fine si sdraiano sull’erba tiepida, guardano le stelle e si baciano senza urgenza. Non c’è più teatro, solo due persone che trovano l’uno nell’altra la pace rumorosa di un mercato rionale. Quando scendono a valle, Firenze dorme sotto un mantello di luci arancioni.
Giulia stringe le braccia attorno alla vita di Lorenzo, sente i muscoli sotto la camicia e pensa che si sta abituando a quel rifugio. Ma dentro lei una voce sussurra avvertimenti. Alessandro non ha mai accettato le linee di confine, non si arrenderà. Tuttavia, ora il timore convive con un fuoco nuovo, un desiderio di non cedere terreno.
Il giorno seguente al mercato Giulia espone la prima fornitura di tiramisù in barattolo destinata a un caffè del centro. L’etichetta riporta il logo Dolci Rossi e una citazione della nonna. I dolci, come l’amore, richiedono pazienza. Lorenzo scatta una foto che finirà sui social. Giulia vede le notifiche esplodere di cuori digitali. La gente compra barattoli come ricordi tascabili. Nonna Carmen fa il segno della croce.
dice che la nonna in cielo starà battendo le mani. Nel pomeriggio Alessandro appare all’improvviso, gli occhi rossi, il passo incerto, tiene in mano una scatola di cartone, la appoggia sul bancone e se ne va senza parlare. Dentro Giulia trova i biglietti che aveva ricevuto, ritagli di foto, uno scontrino del bar dove lei e Lorenzo avevano fatto colazione il giorno del loro primo bacio. C’è anche un coltellino dalla lama pieghevole.
Giulia sente le gambe mancare. Lorenzo prende la scatola, chiama i carabinieri. Il maresciallo arriva, raccoglie le prove, assicura che l’ordinanza dovrebbe arrivare entro pochi giorni. Giulia guarda Lorenzo, vede la fatica nei suoi occhi, ma anche una determinazione granitica. Si rende conto che non è da sola e questa consapevolezza fa scorrere un calore nuovo nei polsi.
Quella sera, mentre chiudono il laboratorio, Lorenzo la abbraccia da dietro, appoggia il mento sulla sua spalla, dice che non permetterà a nessuno di rovinare quel che stanno costruendo, né i dolci né il resto. Giulia appoggia la testa contro la sua guancia, ascolta i battiti di entrambi che cercano un ritmo comune.
Parla a bassa voce. Non è solo protezione quella che sente, è un nodo di affetto che si stringe intorno al cuore e non vuole più sciogliersi. Sulla via del ritorno passano davanti a una vetrina dove brillano anelli d’oro e pandori estivi per turisti. Lorenzo indica un piccolo pendente a forma di cannolo. Dice che le starebbe bene sulla pelle.
Giulia scuote il capo, lo chiama pazzo, ma dentro sente un lampo di complicità così luminoso da far impallidire le luci della città. A casa Giulia apre il quaderno delle ricette di nonna Francesca. Accarezza il velo sottile di farina che impregna le pagine, nota che al margine di una c’è una macchia di vino vecchia di anni. Scrive a penna il nome di Lorenzo accanto alla ricetta del tiramisù come nota di credito.
Sorride, richiude il quaderno, spegne la luce. Il buio odora di cacao e speranza. Da qualche parte, sotto un lampione, Alessandro fuma una sigaretta che gli brucia le dita, stringe un telefono, guarda un messaggio rimasto senza risposta, digita con furia e cancella. Il suo riflesso nello specchio del tabaccaio non gli piace, gira sui tacchi, svanisce fra le viuzze.
La notte non promette nulla di buono o di cattivo, resta in attesa del prossimo atto. Intanto, tra il profumo di biscotti e il ronzio dei lampioni, la storia di Giulia e Lorenzo avanza a passi piccoli ma decisi, come lievito madre che lavora in silenzio e prepara il pane del mattino.
Il caldo di luglio avvolge Firenze come un lenzuolo umido e appiccicoso. All’alba l’aria sopra il mercato vibra già di voci trafelate, ma Giulia sente un freddo interno che nessun sole può sciogliere. L’assedio di Alessandro non si è placato, anzi, dopo il pacco minatorio con il coltellino, arrivano messaggi anonimi sul telefono del laboratorio, telefonate mute all’ora di chiusura, un’ombra sporca che a volte vede riflessa nelle vetrine mentre sistema i vassoi.
Anche stanotte qualcuno ha suonato il campanello del retro e poi è fuggito. Giulia non ha più un sonno lineare. galleggia in dormiveglia. Le mani stringono il cuscino come fosse un salvagente. L’ansia le abbottona il respiro. Lorenzo sembra percepirlo. Arriva prima del solito, bussa al vetro della cucina, porta brioche ripiene di crema chantigli.
dice che ha pensato di installare una luce sensibile al movimento dietro il cortile, un deterrente. Mentre lo ascolta, Giulia nota per la prima volta due piccole rughe nascoste vicino agli occhi di lui, segni di notti spezzate. Vuole ringraziarlo, ma le parole scivolano come farina sul marmo. Lorenzo allora le prende il polso e le disegna un cerchio con il pollice, un gesto che dice “Fidati senza chiedere nulla in cambio”.
Più tardi al mercato la solita armonia si incrina. Giulia vede Alessandro di sfuggita dietro la colonna della farmacia. Invece di affrontarla, come al solito, rimane a distanza e parla con un uomo secco, vestito in giacca di Lino Beige, un tipo che tiene una piccola agenda di cuoio e scatta foto con il telefono ogni pochi passi.
Giulia ha un brivido. Quell’uomo non compra né frutta né formaggi, osserva e annota. Più tardi scoprirà che si chiama Gualtiero Bini. investigatore privato, ex sottfficiale dell’esercito. Alessandro l’ha ingaggiato per scavare nella vita di Lorenzo. Il pomeriggio porta un’altra crepa. Un corriere recapita a Giulia una busta con fotocopie di documenti societari.
Ci sono riferimenti a Moretti Solutions Spa, una startup milanese di logistica venduta l’anno prima a un fondo svizzero. In calce compare un importo milionario. Giulia non capisce se sia uno scherzo, un errore di destinatario o un’altra provocazione. Nasconde la busta nel cassetto dei tovaglioli di carta e decide di non parlarne, ma il pensiero ronzante la segue fin dentro il sonno. Intanto Lorenzo accumula piccole omissioni.
Dice che deve andare a Milano per un meeting, ma non specifica con chi. Riceve telefonate in inglese, si allontana per rispondere. Giulia lo giustifica, se davvero sta organizzando la rete di distribuzione, avrà contatti ovunque. Tuttavia la mente registra discrepanze. L’orologio di Lorenzo è un modello di manifattura svizzera che costa quanto la sua auto.
Quando paga il pranzo per tutti i commercianti, usa una carta nera priva di logo. Guida uno scooter semplice, ma al polso porta un bracciale d’oro bianco. non combacia con l’immagine di un consulente alle prime armi. Una domenica ad agosto, dopo il temporale che lava la città, Lorenzo invita Giulia all’Accademia per vedere il David.
Dice che Firenze va rivista con occhi nuovi. Girano per le sale profumate di cera e legno antico. Parlano di arte come due studenti in gita. Alle spalle avvertono scatti di otturatore. Giulia si volta. L’uomo in Lino Beige sta immortalando ogni loro passo. Lorenzo non se ne accorge. Lei non trova il coraggio di farglielo notare. La settimana seguente le domande si fanno esplicite.
Nonna Carmen chiede a Lorenzo se ha già pensato alla data delle nozze, visto che le scatole Dolci Rossi spopolano su Instagram. Don Roberto, con tono da zio in piccione, vuole sapere in quale quartiere cercheranno casa. Lorenzo risponde con eleganza evasiva. I tempi saranno maturi quando Giulia lo vorrà. Le parole sono perfette, ma Giulia avverte il tremito di un velo che nasconde qualcos’altro.
Una sera, dopo aver chiuso il laboratorio, salgono sul tetto del condominio di Lorenzo per guardare le stelle di San Lorenzo. Il cielo è un velluto punteggiato e le campane rimbalzano nell’aria tiepida. Sotto quella volta scura Giulia beve vino bianco da un bicchiere di plastica. Si sente leggera e al contempo inquieta. Vorrebbe parlargli di bini e della busta coi documenti, ma tace.
Il vino scivola come seta di seta. Lorenzo le racconta di quando a 16 anni costruiva modellini di navi nel garage con il padre. confida che teme di non saper essere povero se un giorno perdesse tutto. Giulia quasi confessa il proprio sogno di bambini e una casa con forno a legna, ma si ferma. Quella visione sembra enorme, vulnerabile.
Quando Lorenzo si avvicina per baciarla, lei risponde con ardore e nel sapore di quel bacio avverte una domanda senza pronuncia. Intanto l’investigatore Bini non dorme. Pedina Lorenzo dall’albergo di Milano a un ristorante stellato, fotografa una cena con due venture capitalist canadesi. Raccoglie articoli di giornale che parlano di un exit da 45 milioni di euro.
Scopre che Lorenzo Moretti possiede un appartamento in Brera, un loft a Berlino, una quota in una cantina vinicola piemontese. Nessuno dei commercianti del mercato conosce questa verità. Be spedisce le prove ad Alessandro che compila un dossier con copertina rossa. Alessandro ora visita il mercato solo in forma di spettro. Si ferma al bordo, non scambia parole. Le poche volte che Giulia lo scorge, ha gli occhi cerchiati di sonno, il mento coperto di barba.
Sembrerebbe sul punto di arrendersi. In realtà sta aspettando il colpo di teatro. A metà agosto, sotto un sole che scioglie il catrame, Lorenzo carica tre cassette di cannoli sulla sua utilitaria e parte per una consegna al bar Giubbe Rosse. Giulia resta al banco da sola. Alessandro compare alle 11:30 in camicia nera, il dossier sotto il braccio, non grida, non insulta, sceglie due biscotti, li paga, poi appoggia la cartellina sul marmo e dice che è un regalo. Se ne va con passo lento. Giulia resta immobile, gli occhi su quella
copertina rosso sangue. Quando Lorenzo torna, lei ha la cartellina aperta sul tavolo di lavoro. Foto, articoli, visure camerali. Non è una montatura. I dettagli coincidono con l’uomo che ha di fronte. Lorenzo vede i fogli, si irrigidisce, chiude gli occhi un secondo, come se i riflessi del sole lo accecassero. Non nega, non conferma.
Dice solo che avrebbe voluto spiegare con calma, che stava cercando il modo giusto. Giulia si sente un pacco di specchi rotti nello stomaco, non urla, dice dimmelo adesso Lorenzo tace. Il silenzio è un graffio lungo, profondo. Quella notte Giulia non va a cena con lui.
Resta in casa, conta le piastrelle del pavimento della cucina, ascolta il frigorifero che ronza. Il cellulare lampeggia di messaggi che non apre, sente la voce della nonna in qualche angolo di memoria. La bugia è come albume non montato, non regge la struttura. Al mattino al mercato Lorenzo arriva pallido, non porta cappuccini, soltanto un viso stanco. Tenta di parlarle, ma Giulia si rifugia dietro la bancarella come dietro un parapetto.
Servono clienti con movimenti meccanici, gli sguardi si incrociano di rado. Don Roberto intuisce l’aria elettrica. La battuta sulle nozze si spegne in bocca. Nonna Carmen osserva i due come statue di sale e stringe le labbra. Intanto Alessandro raduna prove per il grande show.
progetta di presentarsi al mercato il giorno di San Lorenzo, festa del quartiere, quando un palco verrà montato per i discorsi delle autorità. Intende distribuire copie del dossier, mostrare le foto sui maxi schermi affittati per l’occasione. Vuole dimostrare che Giulia è stata ingannata, che il fidanzato perfetto è un impostore ricco che gioca coi poveri. L’umiliazione dovrà essere pubblica totale.
Lorenzo dal canto suo, viaggia fra Firenze e Milano. Cerca di convincere un vecchio amico di vendere quote per finanziare lo sviluppo della pasticceria. Ogni volta che torna trova il muro di Giulia un mattone più alto. Il loro amore nato come finzione e cresciuto come pianta rampicante, ora vacilla sotto il peso di radici non dichiarate.
Una sera nel laboratorio vuoto, Giulia apre il registro vendite e rivede le cifre in crescita esponenziale. Tutto questo è stato possibile grazie a Lorenzo. Eppure le brucia l’omissione. Se lui le ha nascosto un patrimonio, cos’altro può nascondere? Si accorge di stringere un mestolo con troppa forza, lo posa con un tonfo. In quel momento il telefono squilla. È la polizia.
L’ordinanza restrittiva contro Alessandro è finalmente pronta. Dovrà stare a 100 m di distanza. Il respiro di Giulia si scioglie, ma la gioia è smorzata dall’assenza di Lorenzo nella notizia. Il giorno prima della festa di San Lorenzo la tensione diventa corda di violino. Giulia trova un biglietto sull’auto. Domani tutta la verità, ore 18. Il carattere è quello di Alessandro.
Lorenzo, che la raggiunge con una borsa di farina integrale, legge il messaggio e capisce. Finalmente parla. racconta dell’azienda di logistica nata con due amici di università, delle notti passate a programmare in un mono locale, dell’offerta improvvisa di un fondo straniero.
Dice di aver firmato un assegno di cifre irreali e di non aver saputo gestire il salto. Spiega che ha viaggiato, comprato case, investito in vini, ma ovunque la gente vedeva solo il saldo del conto. racconta di aver scelto di vestire in modo semplice, di guidare uno scooter modesto per tornare invisibile. A Firenze al mercato si era sentito finalmente normale grazie a lei. Giulia ascolta in silenzio.
Le parole di Lorenzo cadono come chicchi di grandine su campo arato. Fanno rumore, ma potrebbero fertilizzare. Quando lui conclude che avrebbe voluto dirglielo, ma temeva di rovinarle la serenità, Giulia sente un velo sottile strapparsi. dice di non aver bisogno di milioni, che i cannoli non migliorano con i soldi.
Ha bisogno di verità, anche scomoda, parla piano, ma dentro ha un terremoto. Lorenzo le prende la mano, giura che domani si presenterà sul palco della festa prima di Alessandro. Dirà lui la verità alla comunità. preferisce rischiare il ridicolo che lasciarla da sola nel vortice. Giulia non risponde, chiude il laboratorio, la sua ombra si fonde con la sua.
Il pomeriggio successivo il mercato esplode di bancarelle decorate, bandierine tricolori, profumo di porchetta calda. Un piccolo palco è montato vicino alla fontana. Lorenzo indossa una camicia bianca, niente giacca. Il sindaco saluta i cittadini, poi introduce la banda musicale. Giulia rimane dietro la sua bancarella, lo sguardo fisso sul palco.
Vede Lorenzo fare un passo avanti, timido. Proprio allora Alessandro emerge dalla folla con il dossier in mano, affiancato da Gualtiero Bini. Le vene sul collo gli pulsano. Prima che la voce dell’ex risuoni, Lorenzo prende il microfono. La musica si ferma, il brusio cala. racconta in tono calmo la sua storia.
Figlio di falegname, startup, vendita clamorosa. Ammette di non aver detto tutto a Giulia, di aver avuto paura di perdere ciò che davvero conta. Dice che si sente a casa solo quando sente odore di cannoli e voci di pescivendoli, che i soldi possono comprare cemento, ma non il suono di una risata vera.
Parla dell’idea di trasformare la pasticceria in cooperativa del mercato, di dividere profitti con chi da anni porta cibi genuini sulle tavole fiorentine. Il pubblico ascolta, lo stupore gonfia l’aria come nuvola estiva. Alessandro agita il dossier, cerca di gridare al raggiro, ma la storia è già stata confessata. Bini resta un passo dietro, incerto.
Il sindaco prende la parola, ringrazia per la trasparenza, invita Alessandro a rispettare l’ordinanza, chiama un vigile che si avvicina al bancario con passo deciso. Giulia guarda la scena con il cuore in gola. Quando Lorenzo termina l’intervento cala un silenzio pesante. Poi nonna Carmen inizia ad applaudire, seguita da don Roberto, dalla panettiera e da tutti i commercianti.
L’applauso diventa un’onda. Alessandro lancia il dossier a terra, i fogli volano come colombi impazziti. Un vigile lo accompagna lontano dal palco. Lorenzo scende, si avvicina a Giulia fra due ali di bancarelle, non dice una parola, si ferma davanti a lei, abbassa lo sguardo come un ragazzo colto in errore. Giulia sente la folla sospesa, poi fa un passo, gli sfiora il viso con la punta delle dita. Il contatto è minimo, ma l’elettricità che corre su quei millimetri accende l’intera piazza.
I venditori esplodono in un coro di eva. Più tardi, quando il mercato si svuota e le luci colorate tremolano sopra la fontana, Giulia e Lorenzo restano seduti su una cassa vuota di arance. Parlano poco. Il silenzio non è più un graffio, è argilla che prende forma.
Lorenzo dice che domani incontrerà un notaio per formalizzare l’ingresso di Giulia nella nuova società. Giulia risponde che firmerà solo se lui si impegna a non nascondere mai più nulla, nemmeno un chicco di vaniglia. Lui promette. Mentre si alzano per andare, Giulia ricorda le parole della nonna. Il caramello migliore nasce quando lo zucchero tocca il punto di quasi bruciare.
Forse anche l’amore si solidifica così, oltrepassando il limite del semplice dolce. Nella penombra due mani si intrecciano, il futuro non è meno incerto, ma ora la verità è un profumo distinto, come cannella in un impasto caldo. Giulia inspira a fondo, sente il cuore allargarsi come pasta che lievita al buio e sa che la storia, lontana dall’essere finita, ha appena trovato la sua nota di fondo.
Il mercato di Santo Spirito scatta in movimento prima ancora che le campane facciano eco. Pancarelle aperte, ceste di frutta lucide di rugiada, profumo di crostate appena sfornate che combatte con l’odore acre del catrame sotto il sole di agosto.
È il sabato della fiera estiva, il momento in cui turisti e vicini di casa si mescolano come latte e caffè. Giulia dispone cannoli su un’alzata di vetro, le mani ferme, ma il cuore che picchia al ritmo dei tamburi della banda cittadina. Lorenzo è a due passi, sistema le scatole dolci rossi in una piramide perfetta. Da tre giorni tra loro c’è un silenzio attento, fatto di frasi spezzate e respiri misurati, ma anche di uno strano rispetto che non era mai stato così denso.
Alle 10:00 in punto una fitta elettrica attraversa la piazza. Alessandro compare dal vicolo laterale con passo lento, giacca leggera nonostante l’afa, capelli tirati all’indietro e il volto scavato da notti insonni. Nella mano sinistra stringe una cartellina nera, più sottile, ma più curata di quella rossa gettata a terra la settimana prima.
Dietro di lui, come una coda d’ombra, l’investigatore Bini regge un tablet acceso. Alcuni turisti alzano la testa, attratti dal magnetismo di un litigio annunciato. Lorenzo sente il movimento d’aria prima ancora di vederlo. Gli occhi gli diventano due torce accese, ma resta dietro il bancone.
Giulia ingoia un grumo di saliva e continua a decorare un biscotto con gocce di cioccolato, gesto semplice che le ancora le mani alla realtà. Alessandro si ferma al centro della piazza, proprio sotto il filo di lucine colorate che penzolano come lucciole di vetro. Pronuncia il nome di Giulia, la voce carica di un’eco metallica. Quasi tutti i commercianti interrompono la vendita. Persino il ragazzo che serve gelati smette di far roteare la spatola.
Alessandro parla al pubblico più che a lei. Dice che è venuto a portare giustizia, che Firenze deve sapere di essere stata presa in giro. Chiama Lorenzo impostore, afferma di avere prove definitive del suo passato, ammicca le tasche piene di milioni che avrebbe usato per comprare l’affetto della gente semplice.
Ogni frase è una goccia di acido sul marmo. proietta sul tablet fotografie di Milano, un loft di design, una cabina di yacht, una serata di gala. Un bambino vicino al banco di spezie ride ignorando la tensione. La madre lo tira a sé. Lorenzo esce dal banco. Il sole gli disegna lame di luce sulla camicia bianca. Non alza la voce.
Dice che tutto ciò che Alessandro mostra non è falso, ma è incompleto. Ammette la vendita milionaria della startup. ammette le case e i viaggi di lusso, ma nega di aver comprato alcun sentimento. Il suo unico investimento vero, dice, è stato un pacchetto di cannoli il giorno in cui ha incontrato Giulia.
La frase, semplice come pane e vino, rimbalza fra i muri di pietra e torna più forte. Giulia ascolta Immobile. Ogni sillaba di Lorenzo è un colpo di grano contro la porta del cuore. Ogni parola di Alessandro un vento gelido che soffia da un inverno passato.
Le ginocchia cedono appena, ma nonna Carmen appare dietro di lei e le offre un braccio fatto di nervi d’acciaio e affetto antico. Giulia inspira, poi fa un passo avanti. La voce di Alessandro si fa stridula. racconta dei messaggi segreti, dei viaggi a Milano, delle telefonate in inglese. Definisce Lorenzo un attore esperto che ha usato la storia della startup come maschera per ingannare tutti. Dice che Giulia è solo l’ultima vittima.
Scava nella ferita con crudeltà meticolosa. Vuole farla sanguinare davanti a tutti. Giulia sente la piazza girare, ma qualcosa dentro di lei si tende come una corda di violino pronta a spezzarsi o a suonare. Il braccio di nonna Carmen le trasmette un calore ruvido. Anche don Roberto si è avvicinato.
Porta con sé il pestello di legno, simbolo di una forza discreta. Pochi metri più in là, nonna Elena incrocia le braccia coperte di farina. I fornai non mollano mai la presa quando difendono il proprio impasto. Il mercato intero sembra stringersi intorno a quella giovane donna dai capelli raccolti che per anni ha addolcito i loro risvegli. All’improvviso Beanie avanza e mostra una foto sul tablet.
Lorenzo a bordo di un jet privato, calice di champagne tra le dita. L’immagine scintilla sotto il sole. Giulia sente le palpebre bruciare, la testa le sussurra bugiardo. Il cuore però ricorda un uomo che puliva il banco la sera, che impastava biscotti prima dell’alba con un’umiltà che nessun milione poteva comprare.
Alessandro approfitta del silenzio, grida che Lorenzo ha usato la facciata del consulente per avvicinarsi, che presto venderà la ricetta dei cannoli a qualche multinazionale e sparirà. Chiama Giulia ingenua. dice che lui l’aveva avvertita. La voce si inclina, non c’è più vittoria, solo rancore che cola come vernice scura.
A quel punto Giulia sente la forza salire dalle caviglie come linfa. Avanza fino a trovarsi a pochi centimetri da Alessandro. Non servono microfoni, ogni voce a Santo Spirito tace. Lei parla piano, ma la frase è un martello che batte sul bronzo. Alessandro, quello che avevamo è finito. Quello che stai facendo ora non è amore, è molestia. Lo sguardo di Giulia è lama affilata, il timbro fermo.
Alessandro arretra di mezzo passo. Il vigile urbano che porta in tasca l’ordinanza restrittiva si fa avanti. Don Roberto testimonia che Alessandro ha lasciato biglietti minatori. Nonna Elena racconta delle telefonate mute. Marco il fioraio conferma di aver visto l’uomo aggirarsi di notte vicino al laboratorio.
Le testimonianze si sommano come chicchi di riso in una bilancia. Il piatto pende contro Alessandro, la folla mormora, qualcuno fischia. Alessandro guarda i volti che gli voltano le spalle, vede Giulia sostenuta dagli amici, nota Lorenzo che non avanza per sfidarlo, ma resta a fianco di Giulia come un pilastro di pietra. Capisce che non resta più terreno da occupare. Il vigile legge l’ordinanza.
Alessandro non discute, raccoglie la cartellina nera ormai inutile e si allontana tra un corridoio di sguardi gelidi. Il passo che lascia la piazza è il crepitio di un fuoco che si spegne. Il silenzio non dura. Marco batte le mani come a un concerto improvviso. Don Roberto lo segue, poi nonna Carmen. L’applauso si espande come lievito in acqua tiepida.
Giulia resta immobile, le spalle tremano. Lorenzo le si avvicina ma si ferma a un respiro di distanza. Non chiede perdono con parole vuote. Si limita ad alzare il volto, gli occhi lucidi senza vergogna, con voce bassa, tanto che solo lei può sentirlo.
Sussurra la ragione taciuta, perché per la prima volta in mesi qualcuno mi ha visto come una persona, non come un conto in banca. Le parole sono avvolte in un sussurro che odora di pena e sollievo insieme. Giulia chiude gli occhi, vede le mani di Lorenzo annaffiare le peonie, sente il suo braccio intorno alla vita quando Alessandro la insultava. Ricorda il cucchiaino di Tiramisù che lui le aveva passato come un segreto da custodire.
Tutti i momenti veri, nonostante il silenzio sulle cifre. Lentamente apre le palpebre, incrocia il suo sguardo, trova paura e speranza mischiate come cacao e farina. Non serve un sì immediato. Dice solo che ha bisogno di tempo, di capire se la loro ricetta sopravvive senza dosi sbagliate.
Gli occhi di Lorenzo si riempiono di gratitudine matta, quel tipo di gratitudine che non chiede abbracci, ma li sogna, annuisce e in quel gesto Giulia intravede la promessa di non nascondersi mai più. La comunità non aspetta conferme ufficiali, è già dalla loro parte. Nonna Carmen trascina Giulia verso il banco di verdure e le mette tra le mani un mazzetto di basilico fresco perché il profumo serve a scacciare energie cattive. Don Roberto offre un sacchetto di semi di anice.
Buon auspicio per nuovi inizi. Nonna Elena stacca una fetta di schiacciata all’uva appena sfornata e la infila nella tasca del grembiule di Giulia. Gestos empiricos, più forti di qualsiasi certificato notarile.
Lorenzo rimane accanto a Giulia, non la tocca, ma il suo corpo sembra ergersi come un muretto contro il vento. La banda ricomincia a suonare. Le note di un valzer popolare scivolano fra i banchi. Un turista francese compra due cannoli e dice alla moglie che quella è la vera Italia, un luogo dove gli ingredienti della vita si mescolano in piazza. Il sole scende lento, colora di miele i tetti. I commercianti richiudono tende e cassetti, ma nessuno vuole andare via. formano un semicerchio spontaneo.
Lorenzo prende un respiro, chiede solo un minuto, ringrazia la comunità per aver accolto uno sconosciuto. Promette che la cooperativa Dolci Rossi verrà registrata con quote aperte ai lavoratori del mercato. Dice che non serviranno capitali esterni, solo il sudore di chi crede nel gusto onesto. La gente applaude, qualcuno ride. C’è chi alza un bicchiere di vino sfuso.
Giulia rimane in disparte, un passo dietro Lorenzo, ma ogni battito di mani arriva finto, sente l’affetto come una coperta calda appoggiata sulle spalle. Quando finalmente restano soli tra cassette vuote e coriandoli di carta colorata, il cielo è viola tenue. Giulia cammina in silenzio verso il lungarno. Lorenzo la segue a distanza. raggiungono la ringhiera di ferro che odora di ruggine e fiume.
L’arno corre sotto di loro come seta liquida. Il fresco della sera le accarezza la pelle. Lorenzo parla per ultimo. Dice che la sincerità costa fatica, ma il prezzo del silenzio è sempre più alto. Ammette di aver avuto paura di essere declassato a un bancomatumano. Sorride senza gioia mentre confessa che la ricchezza sa di carta e inchiostro, non di cannella.
Giulia osserva il riflesso delle luci nell’acqua. Pensa alla nonna che diceva che i dolci nascono dall’esatto incontro fra calore e pazienza, altrimenti restano liquidi o bruciano. Pensa che il loro amore è alla stessa cottura. Manca ancora qualche grado per solidificare, ma non è perso. Gira il volto verso Lorenzo, gli occhi lucidi, ma la voce limpida.
Gli dice che vuole credergli, che non promette niente di eterno, che chiede solo trasparenza quanto basta, come si fa con la gelatina sul pan di Spagna. Lorenzo solleva la mano, non tenta di toccarla, le offre un sorriso che contiene fatica e stupore. Dice che l’attenderà con la calma del lievito madre, giorni interi, se serve.
Un lampione si accende sopra le loro teste, disegna un cerchio di luce sul selciato bagnato. Si guardano e in quello spazio di silenzio avviene un dichiararsi senza parole. La ferita è aperta, ma l’impasto è vivo. La campana dell’ultima corsa del battello turistico rintocca a poca distanza.
Giulia inspira a fondo, sente l’odore del basilico nel grembiule, la cannella nelle tasche, l’uva della schiacciata. È l’aroma di una comunità che l’ha scelta. Sente anche il profumo discreto di Lorenzo, più vero ora che non porta più la maschera di consulente. Non si baciano, non servono gesti oltre misura. Camminano fianco a fianco verso la piazza vuota due silhuette che la luna disegna come dita di cacao su un cappuccino.
Dietro di loro l’arno continua a scivolare, portando via l’eco dell’urlo di Alessandro e restituendo soltanto il mormorio pacato di una città che ha assistito prima allo scandalo e poi alla resa della verità. Domani saranno di nuovo tra cannoli e spezie, tra clienti curiosi e ricordi da digerire. Ma stanotte resta scolpita come scaglia di sale marino sulla pelle. Ricordo pungente e necessario.
L’amore, come il caramello, è questione di tempismo. Un secondo in più e brucia, un secondo in meno e resta liquido. Giulia sorride a quella consapevolezza, sente la presenza di Lorenzo al suo fianco e capisce che non è sola nell’attesa del punto giusto. La loro storia riparte da qui, nel profumo misto di zucchero e acqua di fiume, sotto un cielo che non promette dolcezza facile, ma una ricetta nuova, forse migliore, in cui la verità è l’unico ingrediente che non può mancare, la trattoria. Il Cipresso accoglie Giulia e Lorenzo con tovaglie a
quadri rossi, lampade basse, il profumo di sugo che serpeggia nell’aria. È sera, fuori la città scivola nel silenzio estivo. Dentro il brusio dei pochi tavoli rimasti accompagna un trio di Paolo Conte che gira sul giradischi. Nessuno dei due indossa la maschera di fidanzati di scena. Giulia ha ancora farina sulle unghie. Lorenzo porta camicia sbottonata al collo e gli occhi un poco stanchi.
Il cameriere serve pici all’aglione e un chianti giovane. Inizia la prima vera conversazione senza rete. Lorenzo racconta quanto sia stato semplice cadere nella bugia della normalità costruita. Bastava non dire, lasciare che l’idea di sé parlasse. Promette trasparenza anche quando sarà scomoda. Giulia ascolta, poi confessa che il timore più grande non era il denaro nascosto, ma la possibilità di essere amata solo perché piccola e genuina, un balsamo esotico per un uomo annoiato dal lusso.
Parlano di progetti, laboratorio ampliato, un piccolo negozio inoltrarno con vetrina avvolta e caffetteria integrata. Lorenzo offre il capitale iniziale. Giulia accetta solo se la società resterà con quote paritarie. Lui ride, brinda alla democrazia del gusto. Lei annusa le mani. Sanno ancora di ricotta e scorza d’arancia, segno che la giornata non la abbandona mai.
Gli ricorda la frase della nonna: “I dolci, come l’amore, richiedono pazienza. ingredienti genuini e il tocco del cuore. Lorenzo sorride e dice che quella sarà la frase incisa sulla parete del nuovo locale. Arriva il dessert, naturalmente cannoli. Giulia ne rompe uno con le dita e divide la cialda. Il crepitio della ricotta fresca sembra un sì sussurrato.
Lorenzo assaggia, chiude gli occhi, mormora che il gusto è la forma più sincera di verità che conosce. Quando escono, la strada è vuota e calda del giorno appena trascorso. Attraversano piazza Santo Spirito. Le luci dei lampioni disegnano isole d’oro sul selciato. Dietro i tendoni chiusi, il mercato dorme, ma il suo odore di spezie rimane.
Sembra proteggere i due che camminano vicini senza bisogno di sfiorarsi continuamente. Giulia si ferma davanti al proprio banco, ora buio. alza lo sguardo verso i fili di lampadine colorate, ricorda la folla che li ha applauditi. Il mercato è stato testimone di tutto. Bugia, rivelazione, difesa, perdono. Allarga la mano. Lorenzo intreccia le dita alle sue. La presa è leggera, non pretende.
Promette solamente che sarà lì quando l’impasto avrà bisogno di riposo e quando avrà bisogno di calore. Nel silenzio della piazza vuota e chegia un’immagine. Le mani di Giulia profumate di cannoli che diventano bussola e ancora. Il futuro non è scritto, ma ha gli ingredienti giusti. Pazienza, verità, comunità. Avanzano un passo, poi un altro.
Alle loro spalle la trattoria chiude le persiane. Davanti a loro la via si apre come un rotolo di pasta fresca, pronto a essere farcito di nuove storie. M.


