Il Disprezzo e la Dama: Stefania Sandrelli a 79 anni svela le cinque ferite segrete che hanno segnato la sua anima
A 79 anni, c’è un momento in cui i filtri cadono, le maschere si sciolgono e il bisogno di verità diventa più potente della paura del giudizio. Per Stefania Sandrelli, icona di un cinema che ha fatto sognare generazioni, quel momento è arrivato. Seduta in una poltrona che sembra un trono, lo sguardo fisso e un mezzo sorriso che sa di battaglie vinte e cicatrici nascoste, la diva ha rotto un silenzio durato decenni. “Non ho più niente da perdere,” ha dichiarato, e con quella frase ha aperto il vaso di Pandora dei suoi ricordi, svelando i cinque nomi di colleghi che, parole sue, l’hanno “ferita più di quanto il pubblico possa immaginare”.
Non c’è rabbia nella sua voce, ma una “calma glaciale” che inquieta più di un urlo. È la lucidità di una donna che ha vissuto dietro le luci accecanti, che ha conosciuto le ombre dei set e le “bugie dei sorrisi televisivi”. Quella che parla non è la star, è la donna. E il pubblico, ipnotizzato, ha ascoltato. “Ecco le cinque stelle che più disprezzo,” ha detto, e in quel momento il silenzio è diventato assordante.
La sua non è una lista di odio, ma un’autopsia dell’anima, un catalogo di lezioni pagate a caro prezzo. Il “disprezzo” di cui parla la Sandrelli è un sentimento complesso, un misto di delusione, orgoglio ferito e disincanto. È la storia di una donna che ha dovuto imparare a difendersi in un mondo dominato da ego smisurati e da una concezione dell’arte che troppo spesso giustifica la crudeltà.

Il primo nome che emerge dal passato è quello di un’altra icona: Ornella Muti. Due volti della bellezza italiana, due stili, due epoche. “Con Ornella c’era ammirazione reciproca,” ammette Stefania, “ma anche una tensione che nessuna di noi voleva ammettere”. La competizione, spesso alimentata dalla stampa, divenne reale negli anni ’80, su un set. La Sandrelli racconta un episodio preciso, bruciante: “Lei cambiò il copione, rubando il mio momento. Il regista non disse nulla. Io invece capii tutto”. Da quel giorno, i loro sguardi sui red carpet furono “cortesi ma gelidi”. Non è odio, specifica la diva, ma è il rifiuto di dimenticare “chi trasforma l’arte in un campo di battaglia”. È il disprezzo per la scorrettezza, per quella rivalità non dichiarata che avvelena la creatività. “Forse eravamo troppo simili per poterci davvero voler bene”, conclude, con un sorriso amaro che dice tutto.
Il secondo nome è un pugno nello stomaco, e appartiene a un uomo che ha fatto dell’irruenza e della provocazione il suo marchio di fabbrica: Vittorio Sgarbi. Qui, la ferita è pubblica, un’umiliazione consumata sotto i riflettori di un talk show. “Con lui ho imparato quanto può essere pericoloso l’ego di un uomo convinto di sapere tutto”. Il critico d’arte la interruppe, ironizzò sulla sua carriera, definendola “una bellezza sprecata in ruoli minori”. Per la Sandrelli, fu un’aggressione. “Non risposi,” ricorda, “perché avevo imparato che il silenzio ferisce più di mille parole”. Col tempo, Sgarbi cercò di scusarsi, ma il segno era rimasto. “Mi guardava come si guarda un quadro, non una persona”. Quell’episodio, tuttavia, la rese più forte, le insegnò che “il rispetto non si chiede, si pretende”. Il suo disprezzo, lucido e tagliente, non è per l’insulto in sé, “ma per come ha creduto di potermi definire”.
Si passa poi a una generazione successiva, a un altro simbolo di bellezza mondiale: Monica Bellucci. “Non è colpa sua,” premette Stefania, quasi a voler distinguere la persona dal simbolo. Ma la Bellucci, ai suoi occhi, ha incarnato tutto ciò che lei non voleva essere: “Perfetta, distante, calcolata”. Il loro primo incontro a un festival fu emblematico: “Mi salutò con eleganza, ma nei suoi occhi vidi la freddezza di chi sa di aver già vinto”. La stampa le mise costantemente a confronto, ma fu una frase, pronunciata durante una cena, a scavare il solco: “[Disse] che io appartenevo a un cinema che non interessava più a nessuno”. Un colpo basso, un’umiliazione professionale che la ferì profondamente. “Forse la sua perfezione la condanna,” riflette oggi la Sandrelli, “io preferisco essere imperfetta ma vera”. È il disprezzo per la freddezza calcolatrice, per chi crede di poter archiviare il passato con una sentenza.
Il quarto nome è forse il più doloroso, perché tocca le corde dell’arte, della fiducia e dell’ingenuità. È quello di un maestro, Bernardo Bertolucci. Con lui, la Sandrelli visse una stagione artistica fondamentale, ma pagò un prezzo altissimo. “Avevo solo 20 anni,” dice con voce bassa, “ero ingenua, affamata di arte e mi fidavo”. Il racconto si fa cupo, parla di “improvvisazione forzata”, di “limiti superati in nome del realismo”. “Mi sentii usata,” confessa, “ma allora non sapevo dare un nome a quella sensazione”. Per anni, difese quel cinema, quel regista. Poi, con la maturità, è arrivata la consapevolezza. “Lui diceva che era arte. Io credo che certe scelte siano solo potere”. Non è odio, ribadisce, è “disincanto”. È il disprezzo per l’abuso di potere camuffato da genio artistico, la ferita di una giovane donna che si è vista ridotta a strumento. “Ogni volta che vedo un giovane attore ingenuo, rivedo me stessa”.
Infine, il quinto nome. Il mito. L’uomo che ha incarnato il fascino italiano nel mondo: Marcello Mastroianni. Compagno di scena, icona, e forse la delusione più bruciante. “Marcello era irresistibile,” racconta Stefania, “ma dietro il fascino c’era una distanza che feriva”. Sul set di Divorzio all’italiana, tra loro nacque un legame ambiguo. “Mi faceva sentire speciale, ma solo quando serviva alla scena”. Per la giovane e fragile Sandrelli, fu una doccia fredda. Capì che quell’affetto era “una recita prolungata”, il suo modo di sopravvivere nel cinema. “L’ho ammirato, poi l’ho detestato e alla fine l’ho perdonato”. Ma il disprezzo, “sottile come polvere sul cuore”, è rimasto. È il disprezzo per la superficialità emotiva, per chi usa il fascino come un’arma, incurante delle ferite che lascia.

Dopo aver pronunciato questi nomi, Stefania Sandrelli si ferma. Lo sguardo si perde nel vuoto. “Non li odio,” ripete piano, “ma ognuno di loro rappresenta una lezione che ho pagato troppo cara”. Racconta dei set gelidi, delle risate forzate, dei complimenti falsi. Parla della solitudine che, nel suo mestiere, “è più rumorosa degli applausi”.
In un sussurro finale, quasi impercettibile, arriva la confessione più profonda, quella che scuote più di qualsiasi scandalo: “Forse non disprezzo loro, ma la me stessa che li ha lasciati ferirmi”. È un pugno nello stomaco. Non è vendetta, è una resa dei conti con la propria vita.
Oggi, Stefania Sandrelli non ha più bisogno di maschere. Il suo sorriso è fragile ma autentico. “Forse ho disprezzato per non piangere,” dice, “perché l’orgoglio è l’unica corazza che resta quando la giovinezza se ne va”. Vive lontana dai set, tra libri e silenzio, cercando pace, non redenzione. La sua confessione non chiude i conti, ma li illumina di una luce nuova e terribilmente umana. “Il disprezzo,” conclude, “è solo amore che ha perso la strada”.
Poi si alza, chiude la porta, e lascia dietro di sé l’eco di una verità che, finalmente, non ha più paura di essere nuda. Non è la fine di una diva. È la rinascita di una donna.


