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L’ultimo applauso per il Maestro: Roma piange Vessicchio tra le lacrime della moglie Enrica e il dolore di un’intera nazione

Un silenzio irreale, pesante come il marmo della Chiesa dei Santi Angeli Custodi. Un silenzio squarciato solo da un pianto sommesso, trattenuto a stento, e poi da un applauso. Non un applauso di scena, come quelli che aveva raccolto migliaia di volte, ma un applauso intriso di dolore, di rispetto e di incredulità. Roma ha dato il suo ultimo, straziante saluto a Peppe Vessicchio, il “Maestro d’Italia”, scomparso improvvisamente, all’età di 69 anni.

La scena più difficile, quella che ha fermato il respiro dei presenti, è stata l’arrivo della famiglia. La moglie, Enrica Mormile, e la figlia, Alessia, camminavano a passo lento, come se ogni centimetro verso l’ingresso della chiesa costasse una fatica insopportabile. Gli occhi pieni di lacrime, i volti segnati da una sofferenza che non ha bisogno di parole. Hanno seguito la bara, portata a spalla tra due ali di folla muta, fino al sagrato, dove una grande corona di fiori recava la semplice scritta: “Amici”. Un addio intimo, doloroso, protetto dal riserbo chiesto dalla famiglia per vivere un momento definito “devastante”.

Perché la morte di Peppe Vessicchio è stata proprio questo: devastante. Un fulmine a ciel sereno che ha lasciato l’Italia attonita. Il Maestro era ricoverato all’ospedale San Camillo di Roma per una polmonite interstiziale, una condizione che è precipitata rapidamente, portando a complicazioni severe e fatali. La notizia ha fatto il giro del Paese in pochi minuti, lasciando quel senso di vuoto che si prova quando scompare una figura familiare, uno di casa.

Perché Peppe Vessicchio, con la sua iconica barba, il sorriso mite e quell’aria da professore gentile, era davvero uno di famiglia. Era l’uomo la cui frase di presentazione – “Dirige l’orchestra il maestro Beppe Vessicchio” – era diventata un rito nazionale, il segnale che il Festival di Sanremo stava per entrare nel vivo. Quel palco dell’Ariston era casa sua. Lo ha calcato per decenni, dirigendo i più grandi nomi della musica italiana, da Gino Paoli a Roberto Vecchioni, da Zucchero ad Andrea Bocelli, da Elio e le Storie Tese agli Avion Travel. Ha vinto quel Festival quattro volte come direttore, ma il premio più grande è sempre stato l’amore incondizionato del pubblico.

Ma ridurre Vessicchio a Sanremo sarebbe un errore. Per oltre un decennio, è stato il “prof.” più amato d’Italia nel talent show “Amici” di Maria De Filippi. Lì, ha mostrato un lato diverso del suo carattere: non solo il tecnico infallibile, ma l’insegnante paziente, ironico, capace di spiegare concetti musicali complessi con una semplicità disarmante. Ha insegnato a intere generazioni di ragazzi – e a milioni di spettatori – che la musica non è solo note, ma “armonia naturale”, un equilibrio segreto che tiene insieme le cose, nella vita come in una partitura.

Davanti a quella chiesa di Piazza Sempione, c’erano tutti. C’erano le corone di fiori di Maria De Filippi e della grande famiglia di “Amici”, a testimonianza di un legame che andava oltre il lavoro. C’erano i volti noti dello spettacolo, venuti a salutare un collega e un amico. Fiorella Mannoia, in lacrime, si è confusa tra la folla. Lorella Cuccarini, Valerio Scanu, Rudy Zerbi: tutti presenti per stringersi attorno a Enrica e Alessia, in un abbraccio silenzioso. Sul Municipio di fronte, uno striscione riassumeva il sentimento di tutti: “Ciao Maestro”.

L’onda di commozione, nei giorni scorsi, aveva travolto i social media. Dal mondo della politica, la premier Giorgia Meloni ha affidato a un post il suo ricordo: “Ci lascia Beppe Vessicchio… ‘Dirige l’orchestra il maestro Beppe Vessicchio’ non era solo una frase: era casa, era Italia. Buon viaggio”. Un dolore condiviso da colleghi come Fabio Fazio, che si è detto “sconvolto”, e Amadeus, che ha ricordato i trent’anni di risate e scherzi, in onda e dietro le quinte. “Mancherai tanto a tutti”, ha scritto.

Parole di affetto profondo sono arrivate da chi con lui ha condiviso la musica. “Abbiamo lavorato insieme diverse volte”, ha ricordato Gino Paoli, “Era una persona meravigliosa. Semplice nelle sue cose… si sentirà ancora di più la mancanza di una figura così”. Gianni Morandi ha salutato “la tua professionalità, la tua umanità e il tuo sorriso”, mentre Claudio Baglioni ha scritto: “Buon viaggio Maestro. Sei stato un gran musicista e un uomo gentile”.

Nato a Napoli nel 1956, Vessicchio era un musicista totale. Arrangiatore raffinato, compositore, pianista. Aveva iniziato giovanissimo, collaborando con icone della musica partenopea come Edoardo Bennato e Peppino di Capri. L’incontro con Gino Paoli fu la svolta, firmando arrangiamenti per classici come “Ti lascio una canzone”. Da lì, un’ascesa inarrestabile che lo ha portato a lavorare con chiunque avesse un posto nella storia della musica italiana.

Vessicchio due volte bisnonno a meno di 70, quando raccontò: «Ho avuto  questa seconda gioia. Mia moglie? Viviamo in simbiosi»

Ma l’uomo era ancora più grande dell’artista. Era noto per la sua filosofia quasi spirituale della musica. Nel suo libro “La musica fa crescere i pomodori”, aveva condensato la sua idea dell’armonia come energia vitale, un concetto che applicava anche alla viticoltura, facendo ascoltare Mozart e Beethoven alle sue vigne. Era un uomo colto ma accessibile, rigoroso ma leggero. “Il silenzio è il tessuto in cui il suono si intrufola”, amava ripetere.

Era anche un uomo dedito al sociale, Ambasciatore di Buona Volontà dell’UNICEF dal 2018, convinto che “anche nei luoghi più poveri possono nascere talenti straordinari”. E, soprattutto, era un uomo profondamente legato alla sua famiglia. Sposato dal 1989 con Enrica, padre di Alessia e nonno affettuoso, ha sempre protetto la sua vita privata dalla ribalta, trovando tra le mura di casa la sua vera “direzione d’orchestra”. Roma oggi piange uno dei suoi maestri più amati. E mentre il feretro entrava in chiesa per l’ultimo saluto, in quel silenzio assordante, è sembrato davvero che la musica si fosse fermata per un istante. Ci mancherà la sua bacchetta gentile, la sua barba rassicurante, la sua capacità di rendere popolare la cultura senza mai banalizzarla. Ci mancherà l’uomo che, citando Vinícius de Moraes, diceva: “La vita è l’arte dell’incontro”. E l’incontro con lui, per l’Italia, è stato un privilegio indimenticabile. Addio, Maestro. Che l’ultimo applauso sia il più lungo.

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