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“SONO DISOCCUPATA, C’È LAVORO QUI?” CHIESE LA RAGAZZA UMILE, SENZA IMMAGINARE CHE IL FATTORE…

Sono disoccupata. C’è lavoro qui! Chiese la ragazza umile, senza immaginare che il fattore Elena Lombardi svuotava la sua scrivania con mani che tremavano appena. 11 anni di fatture, bilanci e dichiarazioni fiscali finivano in una scatola di cartone. Il direttore finanziario aveva pronunciato quelle parole due ore prima: ristrutturazione aziendale, tagli necessari, niente di personale, ma per Elena era personalissimo.

 Guardò l’ultima volta l’ufficio al 12o piano del grattacielo milanese. Attraverso le vetrate la città sembrava indifferente al suo dramma. Auto che sfrecciavano, gente che correva verso la metropolitana, vita che continuava mentre la sua si fermava. Mamma mia, come avrebbe pagato l’affitto del monolocale in Porta Garibaldi, €700 al mese per 30 m² di solitudine.

 I risparmi sarebbero durati forse tre mesi se avesse mangiato solo pasta in bianco. Scese con l’ascensore in silenzio. Il portiere la salutò con un cenno del capo. Ignaro che quella era l’ultima volta. Sul marciapiede Elena aprì il telefono. 27 curriculum inviati nell’ultima settimana, zero risposte. Il mercato del lavoro era una guerra e lei aveva appena perso la sua trincea.

 Si sedette su una panchina nei giardini pubblici. Il laptop sulle ginocchia scrollava annunci di lavoro che richiedevano tutti esperienza che non aveva o qualifiche che non possedeva. Poi tra offerte improbabili per vendite porta a porta e stage non retribuiti, vide qualcosa di diverso. Cercassi contabile per azienda agricola in provincia di Siena.

 Esperienza in ambiente rurale preferibile ma non indispensabile. Vitto e alloggio inclusi. Periodo di prova: una settimana. Aienda agricola. Elena non aveva mai messo piede in una fattoria. L’unico verde che conosceva erano le piante sul balcone del vicino, ma vitto e alloggio inclusi significava zero spese per vivere. E una settimana, beh, che cosa poteva succedere in una settimana? cliccò sul numero di telefono prima di poterci ripensare.

 Una voce profonda con accento toscano marcato, rispose dopo tre squilli. Alessandro Marchetti, sì, cercava ancora qualcuno. No, l’esperienza agricola non era obbligatoria, poteva arrivare domani. Stazione di Siena, ore 14. Elena chiuse la chiamata con il cuore che batteva forte.

 Aveva appena accettato un lavoro di cui non sapeva niente in un posto che non conosceva, da un uomo di cui ignorava tutto tranne il nome. Quella sera preparò una valigia mettendo dentro i suoi taurer più pratici. Forse in campagna serviva eleganza professionale. Si sbagliava, ma lo avrebbe scoperto presto. Il treno per Firenze partiva alle 8:00 del mattino da Milano centrale.

 Elena trovò un posto accanto al finestrino e guardò la città scomparire. Palazzi grigi lasciavano spazio a capannoni industriali, poi a campi che non aveva mai notato esistere così vicino a casa. Dopo Firenze il paesaggio cambiò completamente. Colline verdi ondulate, cipressi in fila indiana, casali di pietra sparsi come briciole su un tovaglia verde.

 Era bello, doveva ammetterlo, ma anche alieno, come la superficie di Marte. A Siena un taxi la portò lungo strade che diventavano sempre più strette e polverose. Il tassista, un uomo sulla sessantina con la barba grigia, la guardava nello specchietto retrovisore. Signorina, è sicura dell’indirizzo? Quella è la fattoria di Alessandro.

 Bravo ragazzo, ma come dire non è tipo da signorine di città. Elena non rispose, aveva già troppi dubbi per aggiungerne altri. Il taxi si fermò davanti a un cancello di ferro arrugginito. Oltre c’era un vialetto di ghiaia che portava una casa di pietra a due piani, circondata da campi che si estendevano fino all’orizzonte. Elena pagò la corsa, prese la valigia e si avvicinò al cancello.

 Un uomo uscì dalla casa, alto, spalle larghe, jeans sporchi di terra e una camicia azzurra con le maniche arrotolate, capelli castani un po’ lunghi, barba di tre giorni, occhi scuri che la fissarono con espressione scettica. Questo doveva essere Alessandro Marchetti. Lei è la contabile di Milano. Elena annuì cercando di sembrare più sicura di quanto si sentisse. Elena Lombardi, piacere.

Alessandro non le strinse la mano, invece incrociò le braccia e la studiò dalla testa ai piedi. Il suo sguardo si soffermò sui tacchi a spillo, sulla gonna al ginocchio, sulla blusa bianca immacolata. Senta signorina, io ho bisogno di qualcuno che lavori, non di una bambola da vetrina. Qui si inizia alle 5 del mattino.

 Le mucche non aspettano che lei si trucchi. Elena sentì il sangue salirle alle guance. Io sono una professionista qualificata. Ho gestito la contabilità di aziende con milioni di euro di fatturato. Alessandro scoppiò a ridere. Un suono secco e senza allegria. Milioni di euro, signorina. Qui fatturiamo quanto lei spendeva, probabilmente per le scarpe e non ho bisogno di una signorina di città che non sa nemmeno come si munge una mucca fece per voltarsi verso la casa. Aspetti. Alessandro si fermò.

 Mi dia una possibilità. Sono qui. No, potevo rimanere a Milano a cercare un altro ufficio con l’aria condizionata, invece sono venuta qui. E perché l’ha fatto? Perché non ho niente da perdere. Per la prima volta Alessandro la guardò con qualcosa che assomigliava a curiosità. Dammi solo una settimana. Una settimana.

Alessandro la fissò a lungo. Il silenzio si allungò tra loro, rotto solo dal verso di alcune galline che razzolavano nel cortile. Una settimana dice una settimana. Alessandro si grattò la barba, poi indicò con un gesto la fattoria intorno a loro. Bene, una settimana, ma non si aspetti i trattamenti di favore. Qui si lavora come tutti gli altri.

 Alle 5:00 si inizia con la mungitura, alle 6:00 colazione, poi lavoro nei campi fino a mezzogiorno, pausa pranzo di un’ora, poi di nuovo al lavoro fino alle 8:00 di sera. La domenica si riposa, ma gli animali mangiano tutti i giorni. Elena de Glutì, 5 del mattino. Lei che a Milano si alzava alle 8:00 e già si sentiva un’eroina. D’accordo.

 E un’ultima cosa, signorina Elena Lombardi di Milano. Se dopo tre giorni scappa via piangendo come hanno fatto le altre, non si presenti più qui. Io non ho tempo per i capricci delle principesse. Alessandro aprì il cancello con uno scatto secco del polso. La sua camera è al primo piano, seconda porta a sinistra. La cena è alle 8:00, domani iniziamo alle 5:00 in punto.

 Si voltò e camminò verso la casa, lasciando Elena sola nel cortile con la sua valigia e il crescente sospetto di aver fatto il più grande errore della sua vita. Il sole iniziava a tramontare dietro le colline, tingendo tutto di oro e arancione. Era bellissimo, ma Elena non riusciva a sentirsi rassicurata. Aveva 28 anni, una laurea in economia, 11 anni di esperienza professionale e ora si trovava in mezzo al nulla toscano con un uomo che la considerava evidentemente inadatta a tutto.

 Prese la valigia e si avviò verso la casa. Domani alle 5:00 del mattino avrebbe scoperto se Alessandro Marchetti aveva ragione. Il gallo cantò alle 4:45. Elena aprì gli occhi nel buio completo, il cuore che batteva come un martello pneumatico. Dove si trovava? Il soffitto di legno grezo sopra di lei non somigliava per niente al suo monolocale milanese. Poi la memoria tornò di colpo.

La fattoria, Alessandro, la sfida di una settimana. Si alzò tentando di non fare rumore, ma il pavimento di legno scricchiolava a ogni passo. Dalla finestra vedeva luci accese nella stalla. Madonna mia! Alessandro era già al lavoro, si vestì in fretta con i jeans che aveva portato per le emergenze e una camicetta che ora le sembrava ridicola.

 Scese le scale sgranando il rosario mentalmente. La porta della cucina era socchiusa e sentiva rumori di pentole. Una donna anziana, capelli bianchi raccolti in una crocchia, girava qualcosa in una padella sul fornello a gas. Buongiorno tesoro, tu devi essere la ragazza di Milano. Elena annuì sorpresa di trovare qualcun altro in casa.

 Io sono Giulia, ma tutti mi chiamano nonna Giulia. Vivo nella casa qui accanto, ma vengo sempre a preparare la colazione ad Alessandro. Quel ragazzo si dimenticherebbe di mangiare se non ci fossi io. Nonna Giulia la guardò dalla testa ai piedi con occhio esperto. Cara mia, vestita così durerai quanto un gelato al sole d’agosto.

 Vieni, ho dei vestiti di mia nipote che ti possono andare. Prima che Elena potesse protestare, si ritrovò con addosso stivali di gomma troppo grandi, jeans macchiati di terra e una maglietta scolorita che odorava di sapone di Marsiglia. Adesso sì che sembri pronta per lavorare. Alessandro è nella stalla grande, quella con il tetto rosso. E ricordati, le mucche sentono la paura.

Se hai paura tu, si spaventano anche loro. Elena attraversò il cortile mentre il cielo iniziava a schiarire. L’aria fresca le riempì i polmoni con odori che non sapeva riconoscere. erba bagnata, fieno, qualcosa che doveva essere letame. La stalla era un edificio lungo e basso con porte scorrevoli di legno.

Dentro Alessandro stava sistemando secchi sotto le mammelle di una mucca enorme. Sentì i suoi passi e si voltò. Bene, è riuscita ad alzarsi. Pensavo fosse scappata di notte come un ladro. Elena si avvicinò cautamente. La mucca la guardò con occhi grandi e liquidi, masticando fieno con movimento ipnotico della mascella.

 Come si fa? Alessandro indicò uno sgabello di legno accanto alla mucca. Si siede lì, prende le mammelle così con movimenti regolari, su e giù, su e giù, non troppo forte, non troppo piano, le mucche hanno i loro tempi. Elena si sedette sullo sgabello, le sue mani trema mentre si avvicinava alla mammella. Al primo contatto la mucca si mosse nervosa, più decisa.

 Lei è la padrona qui. Elena provò di nuovo, ma non uscì nemmeno una goccia di latte. Alessandro sospirò, si avvicinò da dietro e mise le sue mani sulle sue. Il suo corpo era caldo contro la schiena di Elena, le braccia che la circondavano per guidare il movimento. Così sente il ritmo. Le mucche sono come le donne, hanno bisogno di fiducia.

 Per un momento funzionò. Alcune gocce di latte caddero nel secchio. Poi Elena si irrigidì, la mucca si spaventò e scalciò rovesciando tutto. Dio santo! Alessandro si passò una mano tra i capelli. Va bene, provi con quella laggiù, è più tranquilla. Ma anche la seconda mucca non collaborò e nemmeno la terza.

 Dopo un’ora Alessandro aveva munto otto mucche e Elena aveva prodotto forse mezzo bicchiere di latte e una scarpa completamente bagnata. Faccia colazione, dopo andiamo nei campi di pomodori. La colazione fu silenziosa. Nonna Giulia aveva preparato pane tostato, marmellata di fichi fatta in casa, caffè nero e forte.

 Elena mangiò con appetito che non aveva da giorni, forse perché l’aria aperta le aveva aperto lo stomaco. I campi di pomodori si estendevano per ettari dietro la casa. Piante verdi cariche di frutti rossi e gialli si perdevano a vista d’occhio. Alessandro le diede un cesto di vimini e le spiegò come riconoscere i pomodori maturi.

 Non quelli verdi, non quelli troppo molli. Deve sentire che sono sodi, ma cedono leggermente alla pressione e li stacca così con movimento secco. Elena iniziò a raccogliere concentrata. I pomodori erano belli, sembrava facile, ma dopo 10 minuti aveva già riempito il cesto con frutti acerbi troppo maturi, e alcuni che aveva schiacciato nel prenderli.

 Alessandro controllava il suo lavoro ogni tanto, scuotendo la testa senza dire niente. Poi verso le 10 Elena sentì un rumore strano dietro di sé, si voltò e vide Alessandro fermo davanti a una fila di piante completamente devastate. Che cosa ha fatto? Elena guardò il disastro. Aveva calpestato le piante basse, aveva strappato rami, aveva raccolto pomodori verdi, lasciando quelli maturi.

 Io ho cercato di raccogliere velocemente. Alessandro esplose. Basta, non ce la fa. Queste piante hanno tre mesi di lavoro. Tre mesi. E lei in mezz’ora ha distrutto quello che mio padre impiegò anni a perfezionare. Il viso di Alessandro era rosso di rabbia. Elena sentì le lacrime salire, ma le trattene. Mi dispiace, non sapevo. Non sapeva. Ecco il punto.

 Lei non sa niente di niente. Cosa credeva che bastasse avere una laurea per capire la terra? Alessandro si allontanò a grandi passi, lasciandola sola tra i pomodori devastati. Elena si sedette per terra, le ginocchia che le trema aveva fatto fiasco completo. Alessandro aveva ragione. Lei non sapeva niente. Il sole salì alto e caldo.

 Elena rimase nei campi cercando di riparare i danni. Risistemò le piante che poteva salvare, raccolse i pomodori caduti, pulì la terra dai frutti schiacciati. Le mani le facevano male, la schiena era un crampo continuo, ma continuò. A pranzo non si presentò in casa, non aveva il coraggio di affrontare Alessandro dopo il disastro della mattina.

 Nonna Giulia venne a cercarla con un panino e una bottiglia d’acqua. Cara, non ti preoccupare. Alessandro ha il carattere del padre esplosivo come Vesuvio, ma ha anche il cuore buono. Vedrai. Il pomeriggio Elena lo passò a esplorare la casa, visto che nei campi aveva già fatto abbastanza danni. La cucina era spaziosa con mobili di legno scuro e pentole di rame appese alle pareti.

 Il salotto aveva poltrone consumate davanti a un camino di pietra, ma quello che attirò la sua attenzione fu lo studio. La scrivania era sommersa da fatture ricevute, fogli sparsi ovunque, registri di contabilità aperti con scritture a matita sbiadite. Elena non riuscì a resistere, prese alcuni documenti e iniziò a leggerli.

 Madonna Santa! I conti erano un disastro totale. Entrate e uscite segnate senza logica, debiti non registrati, crediti dimenticati. Come faceva Alessandro a sapere quanto guadagnava o perdeva? Trovò estratti conto bancari infilati tra le pagine di un libro di agronomia.

 Il rosso era profondo e costante, mutuo sulla casa, prestiti per i macchinari, fornitori non pagati. Elena fece calcoli mentali rapidi. La situazione era seria, ma non disperata. Serviva solo organizzazione. Iniziò a dividere i documenti in pile logiche: fatture pagate, fatture da pagare, estratti conto, contratti. Prese un quaderno e iniziò a creare un sistema di registrazione comprensibile.

 Il tempo volò. Quando alzò la testa fuori era buio. L’orologio della cucina segnava quasi mezzanotte. Elena aveva mal di schiena e gli occhi che bruciavano, ma per la prima volta da quando era arrivata si sentiva utile. Sentì passi sulle scale. Alessandro apparve sulla porta dello studio, ancora in abiti da lavoro. La guardò stupito.

 Cosa fa ancora alzata? Elena si alzò stirandosi la schiena. Stavo sistemando un po’ questi documenti. I suoi conti sono, come dire, creativi. Alessandro si avvicinò alla scrivania guardando le pile ordinate di carte. Non doveva ficcare il naso nei miei affari privati, ma la voce era meno dura del solito. Elena prese coraggio.

 A debiti per €40.000, ma anche crediti per 28.000 che non ha mai riscosso. Se mandasse solleciti ai clienti morosi e negoziasse dilazioni di pagamento con i fornitori, potrebbe respirare meglio. Alessandro prese uno dei fogli che Elena aveva preparato. Era un riassunto della situazione finanziaria scritto a mano con calligrafia ordinata.

 Come fa a sapere tutte queste cose? Sono una commercialista, so leggere bilanci e il suo, scusi la franchezza, fa schifo. Per la prima volta da quando si conoscevano, Alessandro sorrise. Un sorriso piccolo, appena accennato, ma comunque un sorriso. Mio padre teneva tutto in testa. Diceva che i numeri sui fogli erano per chi non si fidava della propria memoria e lei si fida della sua memoria.

 Alessandro si sedette sulla poltrona di fronte alla scrivania. Sembrava più vecchio dei suoi 35 anni, con rughe attorno agli occhi che Elena non aveva notato prima. Mio padre morì 3 anni fa. Attacco di cuore, improvviso. Io lavoravo in banca a Siena. Avevo una vita completamente diversa.

 Dovetti tornare qui per non perdere la terra di famiglia. Elena aspettò che continuasse. C’era anche Francesca, la mia fidanzata di allora. disse che era una pazzia, che dovevo vendere tutto e tornare in città. Litigammo per mesi, alla fine se ne andò. Disse che non aveva intenzione di sprecare la vita in mezzo al letame. La voce di Alessandro si fece più bassa. Forse aveva ragione.

 Guardi che razza di vita faccio: alzarsi alle 5:00, lavorare fino a notte, guadagnare appena abbastanza per pagare le rate del mutuo. Elena lo guardò. Alessandro fissava le proprie mani sporche di terra e calli. “Ma lei è felice qui?” Alessandro alzò gli occhi sorpreso dalla domanda. Felice? Non ci avevo mai pensato in questi termini.

 Questa terra è mia, è del mio bisnonno, di mio nonno, di mio padre. Non posso semplicemente abbandonarla. Non le ho chiesto del dovere. Le ho chiesto se è felice. Alessandro rimase in silenzio per lungo tempo. Fuori il verso di un gufo spezzava il silenzio della notte. Sì, credo di sì. Quando vedo i pomodori crescere, quando le mucche mi riconoscono, quando sento l’odore della terra dopo la pioggia.

 Sì, sono felice, ma è una felicità complicata. Elena annuì. capiva le felicità complicate. “Senta, per quello che è successo stamattina con i pomodori, Alessandro alzò una mano. No, sono io che devo scusarmi. Ho reagito male. È solo che questa terra è tutto quello che ho. Quando vedo qualcosa che va storto, vado in panico.

” Elena si alzò raccogliendo i fogli sparsi. “Se vuole, domani posso mostrarle come organizzare meglio la contabilità. Non risolverà i problemi, ma almeno saprà esattamente dove si trova. Alessandro la guardò per lungo tempo, poi annuì lentamente. D’accordo, ma deve promettere una cosa. Niente più esperimenti con i pomodori senza che io sia presente.

 Elena scoppiò a ridere la prima volta da quando era arrivata. Promesso, i pomodori sono al sicuro. Alessandro si alzò per andarsene, poi si fermò sulla porta. Elena. Sì, forse forse può funzionare. Rimase sola nello studio, sorridendo ai fogli ordinati sulla scrivania. Fuori la campagna toscana dormiva sotto le stelle e per la prima volta Elena sentì che forse, solo forse aveva trovato il posto giusto.

 Tre settimane dopo, quella notte nello studio, la fattoria aveva trovato un ritmo nuovo. Elena si alzava alle 5:30, mezz’ora dopo Alessandro, e mentre lui si occupava della mungitura, lei preparava il caffè e controllava le email sui suoi fogli di calcolo improvvisati. La divisione del lavoro era venuta naturale come l’acqua che scorre verso valle.

 Alessandro gestiva tutto quello che riguardava la Terra, i campi, gli animali, i macchinari. Elena si era presa carico dei numeri, dei clienti, delle vendite. Per la prima volta in anni Alessandro sapeva esattamente quanto stava guadagnando ogni giorno. Quella mattina Elena era seduta al tavolo della cucina con il laptop che aveva fatto arrivare da Milano, circondata da fatture e con una tazza di caffè che ormai era freddo da un’ora.

 Stava creando qualcosa che aveva chiamato scherzosamente il primo sito internet della storia di casa Marchetti. Alessandro entrò dalla porta sul retro, stivali sporchi di fango, camicia bagnata di sudore. Ancora con quella macchina infernale. Elen alzò lo sguardo dallo schermo. Non è una macchina infernale, è il futuro. Guarda qua.

 Girò il laptop verso di lui. Sullo schermo c’era una pagina web semplice ma elegante con foto dei campi di pomodori, del caseificio, delle mucche al pascolo. Fattoria Marchetti. Prodotti genuini delle colline toscane. Dal campo alla tavola tradizione che incontra la qualità. Alessandro si avvicinò asciugandosi le mani con uno strofinaccio. E a che serve? A vendere.

La gente di città vuole sapere da dove viene quello che mangia, vuole storie, vuole autenticità e noi abbiamo entrambe le cose. Elena cliccò su una sezione chiamata La nostra storia. Ho scritto di suo nonno, di suo padre, di come lei ha ereditato non solo la terra, ma anche la passione. La gente ama queste storie.

 Alessandro lesse in silenzio aggrottando le sopracciglia. Ha scritto che sono un giovane agricoltore appassionato che porta avanti una tradizione secolare con metodi innovativi. E non è vero. Beh, sì, ma suona strano, detto così. Elena salvò il lavoro e chiuse il laptop. Domani dovrebbe venire il proprietario del ristorante D’Amario a Siena.

 Gli ho mandato campioni di pomodori e mozzarella. È interessato a una fornitura regolare. Come fa a saperlo? Gli ho telefonato. Ho spiegato che siamo produttori locali, che garantiamo freschezza e qualità. Ha detto che è stanco dei grossisti che gli vendono roba che viene da chissà dove.

 Alessandro si versò un bicchiere d’acqua dal rubinetto bevendo a lunghi sorsi. Elena, io apprezzo quello che sta facendo, ma le cose qui funzionano diversamente. Abbiamo sempre venduto al mercato di Siena o ai grossisti. È più semplice, più semplice, forse, ma meno redditizio. Sa quanto guadagna di più vendendo direttamente ai ristoranti.

 Non glielo diede il tempo di rispondere, il 30%. Ho fatto i calcoli. Il giorno dopo Mario Rossini arrivò in una Fiat Panda bianca polverosa. Era un uomo sulla cinquantina. pancia prominente, mani che gesticolavano continuamente mentre parlava.

 Elena lo accolse nel cortile e lo accompagnò a fare il giro della proprietà. Alessandro li seguiva a distanza, fingendo di controllare il recinto delle galline, ma in realtà ascoltando ogni parola. I pomodori sono eccezionali, davvero. E la mozzarella? Madonna mia, sa di quando ero bambino e mia nonna la faceva in casa. Mario assaggiò il formaggio che Elena aveva preparato su un vassoio con pane tostato e basilico fresco.

 Quanta mozzarella riuscite a produrre a settimana? Elena guardò Alessandro che si avvicinò lentamente. Dipende, con otto mucche da latte possiamo fare circa 50 kg di mozzarella fresca a settimana e pomodori 200 kg nei mesi buoni. Mario fece calcoli mentali muovendo le labbra senza emettere suoni. Perfetto, io potrei prendere tutta la vostra produzione.

Mozzarella a €10 al chil, pomodori a €3 al kil, pagamento a 30 giorni. Che ne dice? Alessandro stava per accettare quando Elena intervenne. Scusi Mario, posso parlare un momento con Alessandro? Lo tirò da parte lontano dalle orecchie indiscrete. Non accetti subito. È una buona offerta, ma possiamo fare meglio.

Come meglio? Elena sorrise. Fidati di me. Tornarono da Mario che stava fumando una sigaretta appoggiato alla sua macchina. La sua offerta è interessante, ma abbiamo un piccolo problema. Stiamo già valutando una partnership con il ristorante La Pergola a Firenze. Loro offrono condizioni più vantaggiose. Mario alzò le sopracciglia.

 La pergola, quelli sono concorrenti diretti. Che condizioni vi hanno offerto? Elena mantenne l’espressione seria. €12 per la mozzarella, quattro per i pomodori, più un bonus di stagionalità. Non era vero, ma Mario non poteva saperlo. Mamma mia, quelli di Firenze hanno sempre pensato di essere meglio di noi.

 Senta, posso offrirle 11 per la mozzarella e 3 e mezzo per i pomodori e pagamento a 15 giorni invece che 30. Elena finse di consultarsi con Alessandro che la guardava con ammirazione crescente. D’accordo, affare fatto si strinsero la mano. Mario salì sulla sua Panda e partì in una nuvola di polvere claxonando allegramentemente. Alessandro guardò Elena con un sorriso che non riusciva a nascondere.

 Ma è tutto inventato questo la pergola? Elena fece spallucce. Non esiste nessun la pergola. Ma Mario non lo sapeva e ora guadagniamo il 20% in più di quello che avrebbe accettato lei. Alessandro scoppiò a ridere, un suono pieno e spontaneo che Elena non aveva mai sentito prima. Lei è pericolosa, signorina Elena Lombardi di Milano. I giorni che seguirono presero un ritmo piacevole. La mattina lavoravano.

 Il pomeriggio Elena si dedicava al computer, mentre Alessandro riparava macchinari o curava gli animali. Ma la sera dopo cena si sedevano sul terrazzo dietro la casa a bere vino e parlare. Alessandro le raccontava dei cicli della terra, di come riconoscere i segni che annunciano la pioggia, di quando piantare e quando raccogliere.

 Elena ascoltava affascinata, scoprendo un mondo che non sapeva esistere. Vede quella stella lì, quella è Venere. Mio nonno diceva che quando Venere è bassa sull’orizzonte, il giorno dopo farà bel tempo. Elena seguì la direzione del suo dito puntato verso il cielo. E funziona spesso? Sì. La natura ha i suoi segnali, bisogna solo saperli leggere. Elena iniziò a guardare Alessandro con occhi diversi.

 C’era una saggezza in lui che andava oltre i libri, una conoscenza antica che si tramandava di padre in figlio. Era affascinante, in modo completamente diverso dai colleghi milanesi con cui aveva lavorato. Una sera Alessandro decise di insegnarle a guidare il trattore. Era un vecchio Fiat rosso del 1995, tutto a maccature e ruggine, ma funzionava ancora perfettamente. Non è come guidare una macchina.

 Il trattore ha i suoi tempi, i suoi umori, deve sentire quando vuole accelerare e quando vuole rallentare. Elena salì sul sedile del conducente. Alessandro si sistemò in piedi sulla pedana dietro di lei, le mani sui fianchi del sedile per mantenersi in equilibrio. Frizione, cambio, acceleratore. Piano, non abbia fretta.

 Elena ingranò la prima e il trattore iniziò a muoversi lentamente lungo il sentiero sterrato. Alessandro le parlava vicino all’orecchio per farsi sentire sopra il rumore del motore, il suo respiro che le faceva venire la pelle d’oca. Bene, così. Ora cambi in seconda. Elena allungò la mano verso il cambio, ma il movimento la fece sbilanciare all’indietro.

 Per un istante si trovò appoggiata contro il petto di Alessandro, sentendo il calore del suo corpo attraverso la camicia. Scusi, io non si preoccupi, è normale all’inizio. Ma non si spostò. Rimasero così per alcuni secondi, mentre il trattore continuava la sua corsa lenta tra i filari di Viti. Elena sentiva il battito del cuore di Alessandro sulla sua schiena, o forse era il suo che batteva così forte da sentirlo ovunque.

 Il momento fu spezzato dall’arrivo di una macchina nel cortile, una BMW nera, fuori posto tra i macchinari agricoli. Elena fermò il trattore e scesero entrambi, mentre una donna usciva dall’auto. Era bella sui 30 anni, capelli biondi, perfettamente pettinati, vestito elegante, tacchi alti che affondavano nella ghiaia. Si mosse verso di loro con passo sicuro, sorridendo.

Alessandro, amore mio, che sorpresa trovarti qui! Alessandro si irrigidì visibilmente, Francesca, cosa ci fai qui? La donna si avvicinò e lo baciò su entrambe le guance, ignorando completamente Elena. Non posso venire a trovare il mio fidanzato. Mi sei mancato terribilmente.

 Ex fidanzato corresse Alessandro, ma senza molta convinzione. Francesca si guardò intorno con espressione tra il divertito e lo schifato. Questo posto è sempre così rustico, ma tu hai un aspetto fantastico. Davvero? La vita di campagna ti fa bene. Solo allora si accorse di Elena che era rimasta in silenzio accanto al trattore. E tu chi sei? una collaboratrice Elena Piacere. Sono la nuova contabile.

 Francesca la guardò dalla testa ai piedi, notando i jeans sporchi, la maglietta macchiata, i capelli arruffati dal vento. Ah, una contabile. Che carino. Alessandro, possiamo parlare in privato? Certo, Elena, puoi puoi rimettere a posto il trattore? Elena annuì, sentendosi improvvisamente di troppo, li guardò allontanarsi verso la casa.

 Francesca che parlava animatamente gesticolando, Alessandro che la ascoltava con espressione indecisa, rimise il trattore nel ricovero, le mani che trema leggermente. Chi era lei per sentirsi gelosa? Era solo la contabile, una dipendente temporanea. Alessandro aveva una vita prima del suo arrivo e Francesca era evidentemente una parte importante di quella vita.

 Attraverso la finestra della cucina vedeva le loro sagome che parlavano nel salotto. Francesca seduta sul divano, Alessandro in piedi davanti al camino, lei che gli prendeva le mani, lui che non le ritirava. Elena salì in camera sua fingendo di non aver sentito le parole che Francesca aveva pronunciato, alzando la voce poco prima.

 Ho un’offerta di lavoro per te a Roma. Possiamo ricominciare da capo, Alessandro. Possiamo avere la vita che avevamo sempre sognato. Si sedette sul letto, guardando fuori dalla finestra le colline che si perdevano nell’orizzonte. Per la prima volta da settimane si sentì di nuovo come un pesce fuor d’acqua. Forse Francesca aveva ragione.

 Forse lei era solo una contabile di passaggio in un mondo che non le apparteneva. Ma poi pensò al sapore della mozzarella fresca, al rumore del trattore, al calore del corpo di Alessandro contro la sua schiena. pensò ai conti finalmente in ordine, al sorriso di Mario quando aveva assaggiato i pomodori, al sito web che stava attirando i primi visitatori.

 No, lei apparteneva a questo posto tanto quanto Francesca non ci apparteneva. La differenza era che lei aveva scelto di restare, mentre Francesca aveva scelto di andarsene. Il gioco era appena iniziato. Francesca si sistemò nella camera degli ospiti come se fosse casa sua. Elena la sentiva muoversi al piano di sopra, i tacchi che battevano sul pavimento di legno, la voce squillante al telefono che parlava di progetti e opportunità romane.

 Erano passati tre giorni dal suo arrivo e l’atmosfera della fattoria era cambiata completamente. Alessandro si comportava come un uomo diviso a metà. La mattina lavorava con Elena, come sempre, controllava i conti, discuteva delle consegne a Mario, ma aveva lo sguardo distratto di chi ha la testa altrove. Il pomeriggio lo passava con Francesca, seduti sotto il pergolato a bere vino bianco, lei che parlava e gesticolava mentre lui ascoltava in silenzio.

 Elena cercava di mantenersi occupata, ma era difficile ignorare la presenza ingombrante della ex fidanzata di Alessandro. Francesca aveva l’abitudine di apparire in cucina durante la colazione, vestita con una vestaglia di seta che sembrava costare più dell’intero guardaroba rurale di Elena.

 Buongiorno cara, ancora sveglia così presto? Io non riesco proprio ad abituarmi a questi orari di campagna. Elena masticava il pane tostato senza rispondere, concentrandosi sui fogli di calcolo sparpagliati sul tavolo. Alessandro dice che hai sistemato la contabilità, molto carino come hobby. Io a Roma gestisco il budget marketing di un’azienda farmaceutica, quasi 2 milioni di euro all’anno.

 Francesca si versava il caffè con movimenti studiati, come se stesse recitando una parte. Sai, sto cercando di convincere Alessandro a vendere questa questa situazione e tornare in città. Ho parlato con alcuni miei contatti. Potrei trovargli una posizione manageriale interessante. Elena alzò finalmente lo sguardo. Alessandro non vuole vendere. Questa terra è importante per lui.

 Francesca rise. Un suono cristallino e falso come una campana rotta. Importante, cara mia. Alessandro è troppo orgoglioso per ammettere che ha fatto un errore. Quando ci siamo lasciati gli avevo detto che questa avventura agricola era una follia. Ora che ho fatto carriera, posso aiutarlo a correggere quel sbaglio.

Elena sentì il sangue bollire, ma si costrinse a rimanere calma. Forse dovreste lasciare che sia lui a decidere cosa vuole dalla vita. Oh, ma Alessandro ha sempre avuto bisogno di qualcuno che lo guidasse nelle decisioni importanti. È troppo emotivo, troppo legato al passato, ha bisogno di una donna pratica, realista.

 Francesca si avvicinò al tavolo osservando i documenti di Elena. Per esempio, tutti questi calcoli sono molto carini, ma il vero problema è che questa fattoria non sarà mai redditizia, è troppo piccola, troppo tradizionale. Bisogna pensare in grande, non sprecare tempo con vendite a ristorantini locali. Elena chiuse il laptop con uno scatto secco.

 I ristorantini locali ci stanno facendo guadagnare il doppio rispetto ai grossisti. Francesca scrollò le spalle. Per ora, ma quando arriverà la prima crisi? Quando Mario deciderà di rivolgersi a fornitori più economici, che farete? Alessandro lo sa. Ecco perché sta considerando la mia proposta. Quella sera Elena non scese per cena, si preparò un panino e si rifugiò in camera fingendo di lavorare, ma in realtà guardando dalla finestra Alessandro e Francesca che camminavano tra i filari di Viti.

 Lei parlava animatamente, lui teneva le mani in tasca e annuiva di tanto in tanto. Elena si sentì improvvisamente fuori posto, come il primo giorno quando era scesa dal taxi. Forse Francesca aveva ragione. Forse lei era solo una contabile di passaggio, una presenza temporanea in un mondo che apparteneva ad altri. Il giorno dopo, mentre Alessandro era nei campi, Elena decise di confrontarsi direttamente con la situazione.

 Trovò Francesca in salotto al telefono con qualcuno a Roma. Sì, amore, il contratto è interessantissimo. Alessandro avrà solo bisogno di qualche giorno per decidere. Lo conosco, alla fine sceglierà la cosa giusta. riattaccò e sorrise a Elena. Scusa, lavoro non si ferma mai, sai com’è. Elena si sedette sulla poltrona di fronte al divano.

 Posso farti una domanda diretta? Perché sei tornata? Francesca inarcò le sopracciglia, sorpresa dalla franchezza. Perché amo Alessandro? Abbiamo commesso degli errori in passato, ma ora siamo maturi per costruire qualcosa di solido insieme. Elena la studiò attentamente. 3 anni fa. Lo hai lasciato proprio quando aveva più bisogno di te. Suo padre era appena morto. Doveva prendere decisioni difficili sulla fattoria.

 E tu sei sparita. Il sorriso di Francesca si raffreddò leggermente. È stato un periodo complicato per entrambi. Io dovevo pensare alla mia carriera. Lui era completamente assorbito da questa ossessione per la Terra. Non riuscivamo più a comunicare. Ma ora che Alessandro ha messo insieme i pezzi, ora che la fattoria inizia a funzionare, torni con un’offerta di lavoro a Roma.

 Non ti sembra conveniente? Francesca si alzò dal divano camminando verso la finestra. Senti Elena, tu sembri una brava ragazza, ma Alessandro e io abbiamo una storia, abbiamo progetti insieme. Tu sei qui da qualche settimana, io faccio parte della sua vita da anni. Elena si alzò anche lei. Proprio per questo dovresti sapere che Alessandro non è il tipo di uomo che abbandona quello in cui crede.

 Non ha abbandonato la terra quando tutti gli dicevano di venderla. Non abbandonerà ora che inizia a vedere i risultati. Francesca si voltò di scatto. I risultati. Elena, svegliati. Quattro pomodori venduti a un trattore locale non sono risultati. Alessandro debiti fino al collo, la banca respira sul collo e tu gli fai credere di essere un imprenditore di successo con le tue piccole vittorie da dilettante.

 Le parole colpirono Elena come schiaffi, ma invece di ferirla la resero più determinata. Almeno io gli sto vicino quando le cose vanno male. Dov’eri tu quando Alessandro piangeva sui conti di suo padre? Dov’eri quando doveva decidere se tenere le mucche o venderle? Ero qui io a sistemare carte fino a notte fonda, a inventarmi soluzioni, a credere in lui, quando nemmeno lui credeva in sé stesso.

 Francesca la guardò con odio che non cercava nemmeno di nascondere. Brava Elena, molto romantico, ma il romanticismo non paga i debiti e quando Alessandro si renderà conto che la vostra favola agricola è solo un sogno da bambini, tornerà da me, perché io posso offrirgli una vita vera, un futuro concreto. In quel momento Alessandro entrò dal portone principale, le scarpe sporche di terra, una lettera in mano e il viso pallido come un lenzuolo. Alessandro, che succede? Francesca si avvicinò preoccupata.

 Lui guardò Elena, poi Francesca, poi di nuovo Elena. La banca. Vogliono rientrare del mutuo entro 60 giorni o procederanno con l’esecuzione della ipoteca? Francesca gli prese la lettera dalle mani leggendo rapidamente. €50.000 entro 60 giorni. Madonna santa, Alessandro, è impossibile. Alessandro si sedette pesantemente su una sedia, la testa tra le mani.

 Ho chiamato tutti i clienti che ci devono soldi. Ho fatto calcoli e ricalcoli. Anche vendendo tutto il bestiame e il raccolto di quest’anno, non ce la faccio. Mancano almeno €15.000. Francesca si inginocchiò accanto a lui, prendendogli le mani. Amore mio, forse è un segno. Forse il destino ti sta dicendo che è arrivato il momento di cambiare vita. L’offerta di Roma è ancora valida.

 Potresti iniziare subito con uno stipendio che ti permetterebbe di pagare tutti i debiti in pochi mesi. Alessandro la guardò con occhi stanchi. E la terra, la terra di mio nonno, di mio padre. Francesca accarezzò il viso di Alessandro. La terra resterà sempre qui, ma tu devi pensare al futuro a costruire qualcosa di solido. Non puoi sacrificare tutta la tua vita per un pezzo di campagna.

 Elena guardava la scena in silenzio, il cuore che le batteva forte. Poi si avvicinò al tavolo dove erano sparsi i documenti della banca. Posso vedere i dettagli del mutuo? Alessandro le passò tutti i fogli. Elena li studiò attentamente facendo calcoli mentali rapidi. Il problema non sono i €50.000. Il problema è che state pagando interessi da strozzini.

 Questo mutuo è stato fatto 10 anni fa a condizioni pessime. Francesca sospirò impaziente. Elena, non è il momento per le tue analisi contabili. Alessandro deve prendere una decisione seria. Elena la ignorò completamente. Alessandro, se riuscissimo a rinegoziare il mutuo con un’altra banca con tassi normali, il debito si ridurrebbe di almeno un terzo e con i nuovi contratti che abbiamo in vista potresti permetterti le rate senza problemi. Ma nessuna banca mi darà un nuovo mutuo con la situazione attuale.

Elena aprì il laptop e iniziò a digitare furiosamente. Non è vero. Ho un contatto alla Banca di Credito Cooperativo di Siena. Sono specializzati in aziende agricole, capiscono il settore. Se presentiamo un business plan serio, con proiezioni realistiche Alessandro la guardò con un lampo di speranza negli occhi.

 Credi che potrebbe funzionare? Elena si alzò andando verso di lui. Facciamo insieme. Io credo in te. In noi. Questa terra ha un potenziale enorme. Abbiamo appena iniziato a sfruttarlo. Non possiamo arrenderci ora. Francesca scattò in piedi il viso rosso di rabbia. Noi, Elena, tu non fai parte di questo noi. Tu sei una dipendente, una presenza temporanea.

 Alessandro, non puoi rischiare il tuo futuro per i sogni di una ragazza che conosce a malapena. Alessandro guardò prima Elena, poi Francesca. Per lungo tempo rimase in silenzio, mentre le due donne lo fissavano in attesa. Francesca, tu mi hai lasciato quando avevo più bisogno di te. Hai scelto la tua carriera, la tua vita a Roma. È stata la tua decisione e io l’ho rispettata. Francesca aprì la bocca per protestare, ma Alessandro alzò una mano. Elena invece è rimasta.

 è qui da settimane, lavora fino a notte, crede in questo progetto quando nemmeno io ci credevo. Ha trasformato un disastro contabile in un sistema che funziona, ha portato clienti, idee e speranza. Alessandro si alzò guardando Francesca negli occhi. Francesca, io ti ho amato, ma quella storia è finita 3 anni fa.

 Tu appartieni a un mondo che non è più il mio e io appartengo a un mondo che tu hai rifiutato. Non possiamo fingere che non sia successo niente. Francesca lo guardò incredula. Alessandro, stai commettendo l’errore più grande della tua vita. Stai scegliendo la povertà invece della sicurezza, l’incertezza invece di una carriera, una sconosciuta invece di me.

 Alessandro si avvicinò a Elena prendendole la mano. Sto scegliendo di lottare per quello che amo insieme a una persona che crede in me. Sto scegliendo la donna che è rimasta accanto a me nei momenti difficili, non quella che è tornata solo quando ha pensato che convenisse. Francesca raccolse la borsa con movimenti bruschi e si diresse verso la porta.

 Bene, quando fallirà tutto, quando perderai la casa e ti ritroverai senza niente, non venire a cercarmi. Avresti potuto avere tutto, Alessandro, tutto. Uscì sbattendo la porta. Attraverso la finestra videro la BMW nera allontanarsi in una nuvola di polvere sparendo dietro la curva che portava alla strada principale.

 Rimasero soli nel salotto, ancora tenendosi per mano. Alessandro guardava fuori dalla finestra. Elena guardava Alessandro. Hai fatto la scelta giusta. Alessandro si voltò verso di lei. Gli occhi che brillavano di una determinazione che Elena non aveva mai visto prima. Per la prima volta da 3 anni sono sicuro di aver fatto la scelta giusta.

 Si avvicinarono lentamente i volti a pochi centimetri l’uno dall’altro. Elena sentiva il profumo di terra e sole sulla pelle di Alessandro. vedeva i piccoli segni delle giornate passate al sole attorno ai suoi occhi. Elena, io non dire niente. Si baciarono con la tenerezza di chi ha aspettato a lungo quel momento e la passione di chissà che è arrivato finalmente il tempo giusto.

 Un bacio che sapeva di nuovo inizio, di promesse mantenute, di futuro da costruire insieme. Quando si separarono, Elena sorrise. Allora questo business plan non si scriverà da solo. Alessandro rise. Il primo vero sorriso che lei vedeva da giorni. Facciamolo insieme, tutto insieme d’ora in poi. Fuori il sole iniziava a tramontare dietro le colline toscane, dipingendo il cielo di rosso e oro.

 La fattoria era di nuovo solo loro, piena di progetti, speranze e l’amore che era cresciuto piano piano come le viti nei campi, forte e destinato a durare. 6 mesi dopo quel bacio che aveva cambiato tutto, la fattoria Marchetti era irriconoscibile. Elena si svegliò alle 5:30, come sempre, ma questa volta non per dovere. Il letto accanto era vuoto.

 Alessandro era già nei campi a controllare l’irrigazione dei nuovi pomodori San Marzano che avevano piantato in primavera. Si vestì e scese in cucina, dove nonna Giulia stava già preparando il caffè per tutti. La vecchia signora sorrise vedendola arrivare. Buongiorno cara.

 Oggi è il grande giorno, vero? I proprietari delle altre fattorie arrivano alle 10:00. Elena annuì bevendo il caffè nero che ormai preferiva al cappuccino milanese di una volta. Attraverso la finestra vedeva il nuovo capannone che avevano costruito per ospitare il primo incontro ufficiale di quella che sarebbe diventata la cooperativa Colline Unite. Alessandro entrò dalla porta sul retro, i capelli ancora umidi della doccia veloce, camicia pulita e jeans senza macchie di terra per l’occasione. Come ti senti? Elena gli sistemò il colletto della camicia, gesto diventato naturale

come respirare, come un contadino che sta per diventare imprenditore. Non so se sono più eccitato o terrorizzato. Saranno 14 fattorie, 14 famiglie che crederanno nel nostro progetto. Non è poca cosa, lo so, ma se funziona, se riusciamo davvero a creare questa rete di produttori locali, Elena gli prese la mano. Funzionerà.

 Abbiamo i numeri, abbiamo l’esperienza e soprattutto abbiamo dimostrato che si può fare. Avevano ragione. Nei 6 mesi precedenti la fattoria Marchetti era diventata un esempio di successo. Il contratto con Mario si era allargato a tre ristoranti di Siena.

 erano entrati nella rete di distribuzione di prodotti biologici di Firenze e il sito web di Elena attirava ordini onine da tutta la Toscana, ma soprattutto Alessandro era cambiato. L’uomo diffidente e chiuso che aveva incontrato mesi prima era diventato qualcuno che sapeva ascoltare, che accettava consigli, che guardava al futuro invece di aggrapparsi disperatamente al passato.

 Alle 10 in punto iniziarono ad arrivare Marco Benedetti dalla Val Dorcia con la sua produzione di pecorino, Lucia Ferri da Montepulciano con i suoi vini biologici, Giuseppe Torriani da Pienza con miele e olio extravergine, uno dopo l’altro 14 proprietari di fattorie che avevano sentito parlare del successo di Casa Marchetti e volevano farne parte.

 Elena aveva preparato tutto nei minimi dettagli. Presentazione PowerPoint sul laptop, brochure stampate a Siena. Campioni di prodotti di ogni azienda disposti su tavoli di legno grezzo che Alessandro aveva costruito apposta per l’occasione. Signori, quello che vi proponiamo non è solo una cooperativa, è una rivoluzione nel modo di fare agricoltura in Toscana.

 Elena si muoveva tra i tavoli con sicurezza da manager, ma vestita da contadina con jeans e camicia di cotone. Aveva trovato il suo equilibrio tra i due mondi. Il mercato dei prodotti biologici e locali cresce del 20% ogni anno. I consumatori vogliono sapere chi produce quello che mangiano, vogliono storie, vogliono autenticità e noi abbiamo tutto questo. Giuseppe Torriani, uomo sulla sessantina con mani grosse come prosciutti, alzò la mano.

 Signorina Elena, tutto molto bello, ma i costi mettere insieme 14 fattorie non è come gestire una sola azienda. Alessandro prese la parola. Giuseppe, hai ragione, ma divisi i costi sono più bassi per tutti. Un solo sito web invece di 14, una sola campagna marketing invece di 14, un solo sistema di distribuzione invece di 14.

 Lucia Ferri, donna energica sui 40 anni, a noi convinta. E soprattutto insieme abbiamo un potere contrattuale che da soli non avremmo mai. Possiamo trattare con le grandi catene, con i distributori internazionali. Elena mostrò le proiezioni sullo schermo del laptop. Con 14 fattorie associate stimiamo un fatturato collettivo di 2 milioni di euro nel primo anno.

 Ogni azienda manterrebbe la propria identità e i propri prezzi, ma beneficierebbe della rete comune. Marco Benedetti si alzò dal tavolo. Io ho 60 anni e faccio formaggio da quando ne avevo 15. Non ho mai avuto bisogno di cooperative o reti. Perché dovrei iniziare ora? Alessandro lo guardò negli occhi. Perché suo figlio, se vorrà continuare la sua tradizione, avrà bisogno di strumenti nuovi per competere.

 Perché il mondo è cambiato, Marco. O ci adattiamo insieme o spariremo uno per uno. Il silenzio calò nella sala. Poi Marco sorrise. Maledetto ragazzo, hai ragione. Mio figlio mi dice le stesse cose da anni. Forse è arrivato il momento di ascoltarlo. La votazione fu unanime. 14 mani alzate, 14 firme sui documenti che Elena aveva preparato, 14 strette di mano che suggellarono la nascita della cooperativa Colline Unite.

 Quando l’ultimo partecipante se ne andò, Elena e Alessandro rimasero soli nel capannone, circondati da carte sparse e bicchieri di vino vuoti. Ce l’abbiamo fatta. Alessandro la abbracciò. facendola girare in aria come una bambina. Non ci posso credere. 14 fattorie, 60 famiglie che lavoreranno con noi. Elena rise, i piedi che toccavano di nuovo terra. E questo è solo l’inizio.

 Ho già contatti con produttori del Chianti che vogliono saperne di più e un distributore tedesco interessato ai nostri formaggi. Quella sera cenarono sul terrazzo guardando il sole tramontare dietro le colline. Alessandro servì il vino che aveva fatto con l’uva dell’anno precedente. Elena aveva cucinato pasta al pomodoro con basilico del loro orto. Sai una cosa? Elena posò la forchetta sul piatto.

 Sei mesi fa non sapevo nemmeno come si teneva in mano una zappa. Ora mi sembra di aver sempre fatto questa vita. Alessandro le prese la mano attraverso il tavolo e io 6 mesi fa non sapevo cosa fosse un business plan. Ora mi diverto a inventare strategie di marketing” si guardarono negli occhi, complici di una trasformazione che aveva cambiato entrambi.

 Due anni dopo la cooperativa Colline Unite era diventata una realtà consolidata. L’edificio di processamento che avevano costruito sulla collina dietro la casa di Alessandro lavorava a pieno regime. Formaggi, yogurt, burro, prodotti con il latte delle fattorie associate, conserve e sughi con i pomodori di mezza Toscana, vino e olio che arrivavano fino ai mercati di Monaco e Amsterdam.

 Elena aveva un ufficio al piano superiore dell’edificio convista sui campi che si estendevano fino all’orizzonte. era diventata la direttrice amministrativa della cooperativa con 60 famiglie che dipendevano dalle sue decisioni, ma ogni mattina continuava ad alzarsi alle 5:30 per prendere il caffè con Alessandro prima che iniziasse la giornata di lavoro.

 Il loro rapporto era maturato come il vino buono, lentamente e profondamente. erano diventati soci al 50% nella fattoria originale, ma soprattutto erano diventati partner nella vita. Avevano trasformato la Camera degli Ospiti in un ufficio comune dove la sera pianificavano le strategie della cooperativa bevendo tisane preparate con le erbe del loro giardino. La casa si era riempita di vita.

 Avevano assunto tre ragazzi del paese per aiutare nei lavori più pesanti. Nonna Giulia aveva praticamente adottato Elena come nipote e ogni domenica il tavolo della cucina ospitava almeno 10 persone tra soci della cooperativa, amici e parenti. Elena aveva creato anche i programmi sociali di cui andava più fiera.

 Corse di studio per i figli dei soci che volevano studiare agronomia, corsi di formazione per giovani disoccupati che volevano imparare le tecniche agricole moderne. Perfino un progetto di turismo rurale che portava famiglie di città a vivere per una settimana l’esperienza della campagna. Quel mercoledì di ottobre Elena era nel suo ufficio a controllare gli ordini onine quando squillò il telefono. Numero che non conosceva prefisso dell’Umbria.

Pronto cooperativa Colline Unite. Sono Elena Lombardi. Buongiorno, signora Lombardi. Sono Matteo Vincenti. Ho una fattoria biologica vicino a Perugia. Ho sentito parlare del vostro lavoro e vorrei sapere se è possibile entrare nella vostra rete. Elena sentì il cuore accelerare. L’Umbria significava espansione oltre i confini toscani. Significava diventare davvero una realtà nazionale. Certamente, signor Vincenti.

Che tipo di produzione avete? olio extravergine principalmente, ma anche legumi biologici e un piccolo allevamento di maiali cintis senesi. “Sono molto interessato al vostro modello cooperativo”, parlarono per mezz’ora. Matteo aveva 50 anni, gestiva 120 ari con il figlio venticinquenne, fatturato annuale di €300.

000, Perfetto per entrare nella cooperativa. Elena riattaccò con un sorriso che non riusciva a nascondere, scese di corsa le scale dell’edificio e attraversò i campi correndo verso casa, dove sapeva che Alessandro stava sistemando il trattore nuovo che avevano comprato il mese prima.

 lo trovò nel cortile, mezzo busto sotto il motore, che bestemmiava in dialetto toscano contro un pezzo che non voleva stare al suo posto. Alessandro, devi sentire una cosa. Lui uscì da sotto il trattore, la faccia sporca di olio, ma sorridendo, vedendo l’eccitazione di Elena. Che succede? Hai vinto la lotteria? Meglio ha chiamato un produttore dell’Umbria, vuole entrare nella cooperativa.

 Alessandro si pulì le mani con uno straccio, guardandola incredulo. L’Umbria, sul serio, sul serio. Matteo Vincenti, fattoria biologica vicino a Perugia. Se accettiamo lui, saremo la prima cooperativa agricola interregionale del centro Italia. Alessandro la abbracciò sporcandole la camicia di olio del motore.

 Amore mio, te ne rendi conto? Siamo partiti con otto mucche e un campo di pomodori devastato. Ora stiamo per diventare una realtà nazionale. Elena si scostò dall’abbraccio guardandolo negli occhi. C’era qualcosa che doveva dirgli, qualcosa che teneva dentro da una settimana e che ora, in questo momento di gioia perfetta, sembrava il tempo giusto. Alessandro, c’è un’altra cosa, qualcosa di ancora più importante.

 Lui la guardò preoccupato. Che succede? Stai bene? Elena sorrise, gli occhi che iniziavano a luccicare. Alessandro, noi stiamo per diventare una famiglia, tu stai per diventare papà. Alessandro rimase immobile per lunghi secondi, come se le parole non riuscissero ad arrivare al cervello.

 Poi i suoi occhi si riempirono di lacrime e la voce gli si spezzò. Elena, amore mio, sei sicura? Sicurissima. Ho fatto il test tre volte. Alessandro la prese tra le braccia con una tenerezza infinita, come se fosse diventata improvvisamente fragile come cristallo. Elena, tu hai trasformato non solo questa terra, ma la mia anima intera.

 Sei arrivata qui come una tempesta gentile che ha cambiato tutto, i miei campi, il mio cuore, la mia vita e ora, ora mi dai il regalo più grande, una famiglia. La voce di Alessandro tremava di emozione. Io ti amo non solo per quello che sei, ma per quello che siamo diventati insieme. Tu sei la mia compagna, la mia ispirazione, la mia vita e ora sarai la mamma del nostro bambino. Ti amo per sempre, Elena.

 Si baciarono mentre il sole iniziava a tramontare dietro le colline, tingendo il cielo di rosa e oro. Intorno a loro la terra che avevano salvato insieme profumava di vendemmia e di promesse mantenute. La loro storia era iniziata con una scommessa impossibile, una contabile di città e un agricoltore testardo che non credeva nei cambiamenti.

 Era diventata la prova che il coraggio di ricominciare può trasformare non solo due vite, ma un intero territorio. Elena guardò i campi che si estendevano fino all’orizzonte, i vigneti carichi di grappoli maturi, l’edificio della cooperativa che fumava dei camini della produzione. Pensò alle 60 famiglie che lavoravano grazie al loro sogno, ai giovani che avevano trovato lavoro invece di emigrare, ai prodotti che portavano il sapore della Toscana in tutta Europa.

 aveva scoperto che le seconde possibilità non sono solo per le persone, ma anche per la terra, per le tradizioni, per i sogni che sembrano impossibili. Aveva imparato che si può essere innovativi, rimanendo fedeli alle proprie radici, che si può cambiare il mondo partendo da un piccolo pezzo di campagna e soprattutto aveva capito che l’amore vero è come le viti che crescevano intorno alla casa.

 Ha bisogno di tempo, di pazienza, di radici profonde, ma una volta che attecchisce dura per sempre. Amore che cresce come la vite, lentamente, ma per sempre. Il sole scomparve dietro le colline toscane e la notte arrivò piena di stelle e di futuro.

 

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